Flavio Cattaneo, manager di grandi aziende pubbliche e private, oggi è azionista e nei Cda di Italo e di Itabus, oltre ad avere ottimi rapporti con grandi investitori internazionali. Da sempre su posizioni liberali: che giudizio dà della prima manovra del governo Meloni? Si vede l'impronta del centro-destra?
«Mi pare una manovra obbligata, non si poteva pensare a fuochi d'artificio. Anche se ci sono dei segnali importanti, tenga conto che la manovra assorbe 20-22 miliardi solo per l'energia, e quindi era difficile fare altro. Fino a ora Giorgia Meloni si è mossa bene».
Che dicono gli investitori esteri, che lei conosce bene, delle prime mosse del nuovo governo?
«Non mi sembrano preoccupati. All'inizio hanno subito una comunicazione preconcetta rimbalzata dall'Italia all'estero e quindi alcuni hanno chiesto un giudizio. A quelli che mi hanno interpellato ho detto di star tranquilli, non avrebbero rischiato i loro soldi. E mi pare che i mercati stiano rispondendo positivamente».
Tra le critiche alla manovra i sindacati ritengono penalizzati i dipendenti a favore degli autonomi. È così?
«Guardi che sulla flat tax fino a 85mila c'è un grande fraintendimento: se scegli la tassa unica non hai più le detrazioni, paghi sul lordo. Dopodiché non mi pare sia andata male quella con il tetto a 65mila, ha dato buoni risultati. Io sono stato sia lavoratore dipendente che autonomo e ho pagato sempre tasse in egual misura. È una favoletta che proprio non regge quella che se fai l'autonomo, e sei onesto, paghi meno tasse».
Infrastrutture e liberalizzazioni, due suoi pallini che dovrebbero essere condivisi da una maggioranza di centro destra. Magari partendo dal ponte sullo Stretto, che ne dice?
«Vedrà che questa volta Salvini lo farà ed è così che si fa il vero Pil. C'è la popolazione di una regione grande come quella del Lazio che oggi è isolata. Pensi cosa significherebbe il ponte per logistica, trasporti, lavoro. Salvini non ha bisogno di consigli, ma partirei il prima possibile utilizzando il progetto che già c'è».
Oltre al ponte, ci sono altre opere urgenti?
«Non è solo questione di opere. Serve un nuovo indirizzo. Ad esempio alcune Regioni del sud, nel settore dei trasporti a lunga percorrenza, non fanno gare da 15 anni. Solo proroghe, affidando operatori già affidati. Hanno creato un rapporto di connivenza tra pubblico e privato che non ha niente a che vedere con il libero mercato».
Siamo arrivati alle liberalizzazioni.
«L'approccio giusto con cui guardare al tema delle liberalizzazioni è quello utilizzato nell'alta velocità. I risultati sono chiari: ci hanno guadagnato tutti, imprese e cittadini. Pensiamo invece al trasporto pubblico locale (Tpl). Le regioni si lamentano, ma poi non liberalizzano mai niente. Il modello da seguire è quello di Italo e Itabus, che non sono sovvenzionate dallo Stato e stanno in piedi con i biglietti. Il Tpl invece vive quasi solo con le sovvenzioni e crea rapporti poco sani tra pubblico e privato. Posto che le infrastrutture devono essere pubbliche, il resto, dove è possibile, deve essere tutto privato. E se ci sono privati disposti a investire ed erogare i servizi, non vedo perché ci debba pensare il pubblico che per farlo deve aumentare le tasse».
A proposito, che succede alla Tim, che lei ha guidato?
«Il tema è fare una rete, che doveva essere unica fin dall'inzio. Per note vicende non è andata così. A questo punto capisco che si voglia creare un monopolio naturale con una rete a controllo pubblico, e credo sia giusto farlo».
Un esempio di liberalizzazione fallita?
«Molte volte si è confusa la liberalizzazione di un'attività in monopolio con la sua privatizzazione, cioè con la vendita dal pubblico al privato. Liberalizzare significa aprire un settore alla concorrenza tra privati. È diverso dal privatizzare, che significa passare il monopolio, che resta tale, dal pubblico al privato. Pensiamo ad Autostrade o altre privatizzazioni/vendite che con il passaggio da pubblico a privato non hanno comportato la liberalizzazione del settore. L'obiettivo è la libera concorrenza, non definire se una proprietà sia pubblica o privata».
Chiudiamo con l'ultimo tema divisivo del dibattito politico: il reddito di cittadinanza che accoglie consensi trasversali.
«Non ho dubbi sul fatto che si debba aiutare chi ha veramente bisogno ed è impossibilitato a trovare un lavoro. Ma il sistema attuale va rivisto perché in molti casi la sua funzione è erroneamente assistenziale. Chi trova un lavoro, anche se con uno stipendio non sufficiente per mantenere il proprio nucleo familiare, deve accettarlo e lo stato interviene solo ad integrazione, con un contributo che garantisca che il salario percepito sia dignitoso e sostenibile.
È importante però che non si resti a casa senza far niente e sussidiati, se non nei casi di impossibilità totale a trovare un lavoro. Questo è un modello che potrebbe ridurre le disuguaglianze ma senza diseducare al lavoro. Non si può costruire la classe media per legge. Vanno create le condizioni perché ciò avvenga».
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