L'invisibile Giorgetti, arma segreta di Salvini

Ama stare nell'ombra e tessere rapporti con alleati e rivali. Passano i segretari ma non lui

L'invisibile Giorgetti, arma segreta di Salvini

Roma - Non basta il tradizionale fiuto di Berlusconi a spiegare il recente endorsement nei confronti di Salvini. E allora cosa c'è dietro? Ma soprattutto «chi» c'è dietro? Un nome su tutti: Giancarlo Giorgetti, il «Verdini verde» o anche il «Gianni Letta padano». L'eterno tessitore: c'era quando la Lega era solo l'Umberto; e c'è anche oggi col Carroccio a trazione Salvini. Un potente per tutte le stagioni.

Sempre al centro, sempre sulla cresta dell'onda ma sempre sommerso, un pelo sotto l'acqua. Invisibile. Giorgetti detesta i riflettori, ammettono anche i suoi: «Gli piace il buio. Infatti è l'uomo dell'ombra ed è pure ombroso di carattere». Quando si aprono i cancelli di villa San Martino per far entrare i colonnelli padani lui c'è; assieme a Salvini oppure a Calderoli. È stato lui a portare Alan Fabbri, candidato emiliano con tanto di codino e orecchino ad Arcore; ed è sempre lui a tessere la tela per conto del capo per ricostruire il centrodestra. Eppure lui non fiata, agisce ma in silenzio. In religioso silenzio. Infatti di lui dicono che «è uomo da sacrestia, non da pulpito: se Salvini è una macchina da consensi, Giorgetti, con un microfono davanti, i consensi li brucerebbe», graffia chi non lo ha mai amato. Questione di indole che si tramuta anche in estetica: Salvini è felpa, Giorgetti è gessato.

Eppure tutti gli riconoscono capacità di analisi politica sopra la media e/o una paraculaggine fuori dal comune. Infatti è un perenne colonnello, anche se i generali cambiano. È uscito indenne dallo scontro Bossi-Maroni perché, furbo come una volpe, s'è tenuto fuori dalla mischia. Pro domo sua. Mai una sgomitata; mai un'ambizione manifesta; mai una dichiarazione sopra le righe. Chi lo stima, dice: «Giorgetti è l'alleato ideale perché a lui non interessa la visibilità». Chi non lo ama, graffia: «È innamorato del potere; ma quello vero, quello che non si vede». E anche: «È prudente fino all'eccesso ma non per intelligenza; è che gli mancano le palle». Infatti lo davano bossiano, poi maroniano, poi tosiano, ora salviniano. Risultato: i segretari federali passano, Giorgetti resta.

Classe 1966, natali a Cazzago Brabbia, varesotto, Giorgetti è un laghee : figlio di un pescatore e di un'operaia in un'azienda tessile. Ma dalle sponde del lago di Varese di strada ne ha fatta eccome: laurea con lode alla Bocconi, sindaco del suo paesello e poi su su, fino a fare ingresso alla Camera nel 1996. Da allora, sempre presente a Montecitorio acquisendo capacità da tecnico che gli riconoscono tutti: pare sia un fenomeno coi numeri e che da presidente della Commissione bilancio abbia dimostrato di essere una spanna sopra tutti. Ex segretario della Lega Lombarda, s'è fatto un sacco di amici fuori dal Carroccio (è persino membro dell'associazione Vedrò, pensatoio di Enrico Letta, ndr ) e qualche nemico nel Carroccio. Ma di lui non si ricordano né raccontano scontri con alcuno. «Non litiga mai: spartisce».

È infatti l'uomo delle trattative; con, per giunta, amicizie altolocate.

Va d'accordissmo con Passera, è pappa e ciccia con Tremonti, è amico di Fiorani e tanti altri banchieri, in primis Marcello Sala, vicepresidente di Banca Intesa. È definito da tutti «il mago delle nomine» e quando si tratta di parlare di partecipate lui c'è. Come sempre nell'ombra.

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