Undici chilometri quadrati di estensione, un numero enorme di edifici industriali che possono trasformarsi nel terreno perfetto dell'agguato, dei movimenti furtivi dei cecchini. Ma non solo, anche tunnel estesissimi che percorrono il sottosuolo e uniscono gli edifici delle Acciaierie Azovstal le più grandi di tutta Europa e ora cuore della resistenza disperata a Mariupol.
Se non si riflette sull'estensione di questo spazio, ancora controllato da ciò che resta del battaglione Azov e dei marines ucraini, e su ciò che si cela nelle sue viscere, non si riesce a capire perché continui ad essere, nonostante tutto, una spina nel fianco dei russi. Il sistema sotterraneo a più livelli che si snoda sotto gli altoforni è stato costruito in epoca sovietica come sistema di difesa antiatomica. Si tratta di un sistema difficilissimo da espugnare, anche nell'ipotesi di un attacco chimico. Entrare nei tunnel significherebbe per qualunque aggressore pagare un prezzo altissimo in termini di vite. Anche tentare di utilizzare le micidiali bombe «bunker buster», già viste in azione ad esempio ad Aleppo, richiederebbe avere una conoscenza precisa degli obiettivi, cosa non semplice data la vastità dell'area, in cui gli edifici ormai sventrati rendono ancora più difficile orientarsi. Secondo più fonti la Russia ha estratto dai depositi i vecchi, potenti, ma non guidati ordigni Fab-3000. Sono pensati per distruggere strutture ad alta resistenza, ma in questo caso a meno di un bombardamento a tappeto, inservibili. Del resto far alzare i bombardieri pesanti Tupolev prima che il sistema contraereo ucraino sia completamente inibito, se mai lo sarà, potrebbe avere un prezzo altissimo.
Ecco perché secondo alcuni analisti continua a ripetersi la voce di un possibile attacco chimico russo contro i bunker.
Ma qual è il senso della resistenza delle truppe ucraine a tutt'oggi? Dal punto di vista militare le loro risorse sono ormai limitatissime. Però Mosca non può lasciarsele alle spalle mentre conduce la sua offensiva. E poi Mariupol ha per Putin un particolare significato simbolico. La definitiva conquista della città sul Mare d'Azov potrebbe diventare il trofeo che il Cremlino mostrerebbe il 9 maggio, in occasione del Giorno della Vittoria, ritenuta data chiave per i destini della guerra. Dopo il fallimento della campagna lampo, le perdite spropositate, l'affondamento della ammiraglia del Mar Nero, la ritirata da Kiev, la «liberazione» della città e la distruzione del battaglione Azov (sempre rappresentato come il cuore del pericolo neonazista) potrebbero consentire al Cremlino di sventolare almeno un successo di fronte alla sua pur irregimentata opinione pubblica. Ma mentre si andava a caccia di questo risultato Mariupol ha dragato ulteriori risorse ad un esercito che si mostra sempre più come un drago con molti denti ma poca coda. Secondo l'intelligence militare britannica la stretta su Mariupol ha fatto consumare alle forze armate della federazione russa energie che ora non possono più essere utilizzate per l'offensiva a tenaglia prevista nella zona est del Paese.
Ecco perché Kiev insisterebbe ancora chiedendo ai disperati di Mariupol di non cedere. Ecco perché i russi avrebbero cercato di forzare la mano per ottenere una resa. Che non c'è stata. E ora lo scontro rischia di andare verso l'epilogo più tragico. Ma non scontato. Già un tentativo di blitz delle truppe cecene di Ramzan Kadyrov, settimane fa, sarebbe stato respinto con successo.
Ora i comandi russi sanno di poter condurre l'attacco con un vantaggio numerico di almeno sei a uno, ovvero il doppio della combat ratio che la dottrina militare ritiene equilibrata in uno scenario bellico tradizionale. Ma i dedali dell'Azovstal non hanno nulla di tradizionale.
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