«La Banca centrale europea ha ben chiaro che se fosse necessario fare di più, farà di più». Il componente francese del consiglio direttivo della Bce, Benoit Coeuré, nel corso di una conferenza ad Aix-en-Provence, ha rimarcato, quasi prevedesse l'esito del referendum greco, la necessità per l'Eurozona di «strumenti che aiutino gli stati a rispondere agli shock», sottolineando che alcune misure sono state messe in campo «fin dall'inizio della crisi». Ma la possibilità della Grexit resta sempre elevata. L'uscita della Grecia dall'euro per gli analisti di Jp Morgan è infatti diventata «lo scenario base», cioè quello più probabile.
Quelle di Coeuré sono parole da politico più che da banchiere centrale, ma comprensibili se si osserva la vicenda dal punto di vista francese (che non è poi molto migliore di quello italiano). «Abbiamo bisogno di più responsabilità a livello nazionale e di più solidarietà a livello europeo», ha aggiunto evidenziando come il muro contro muro tra Berlino e Atene sia stato improduttivo. Il discorso su ciò che accadrà a partire da oggi alla Grecia e a Eurolandia non può prescindere dall'analisi delle mosse a disposizione di Mario Draghi, il numero uno della Bce che nel 2012 si mise contro Angela Merkel affermando che avrebbe salvato l'euro «a qualunque costo».
Per comprendere meglio la situazione occorre, però, distinguere l'evoluzione del dibattito sul debito greco dalle vicende riguardanti gli altri diciotto Paesi dell'area euro. Il «bazooka antispeculazione» di Super Mario può funzionare, soprattutto, per questi ultimi. Atene ha bisogno di qualcosa in più. La Banca di Grecia è, infatti, pronta a presentare una richiesta di aumento di liquidità di emergenza attraverso il programma «Ela» alla Bce, il cui consiglio direttivo si riunisce stamattina.
Senza un'estensione degli aiuti gli istituti ellenici potrebbero restare senza contanti e l'economia subire un blocco che potrebbe risultare esiziale (almeno inizialmente il crollo del Pil si attesterebbe attorno al 10%). In Germania la Cdu, il partito di Merkel, ha già chiesto la chiusura dei rubinetti.
Ma come può Draghi venire incontro alle richieste di Tsipras e Varoufakis? Senza un accordo politico è molto difficile. L'unico dato positivo è che il quantitative easing , l'acquisto di titoli di Stato dell'area euro da parte della Bce dovrebbe tenere al riparo Italia, Spagna e Francia dal maremoto. Il Portogallo, pur avendo un rating spazzatura (ha «BB» a fronte del minimo richiesto «BBB-» che è la valutazione dell'Italia), è stato salvato dall'Eurotower. Poiché la Bce ha già molti titoli greci in pancia, per poter procedere a nuovi acquisti dovrebbe avere un minimo di garanzie.
La seconda arma di Draghi è l'Omt, meglio noto come il «superbazooka». Anche in questo caso, la Bce procederebbe ad acquisti di titoli di Stato sul mercato in cambio della sottoscrizione di un protocollo di riforme, cioè commissariando lo Stato tramite una mini-Troika. Soluzione poco applicabile per Atene che non ha adempiuto alle obbligazioni con le istituzioni internazionali. L'Omt, però, salverebbe dal collasso i Paesi che dovessero subire un taglio del rating a junk e in questo novero, purtroppo, c'è l'Italia.
La vera bomba atomica della Bce si chiama «Smsf», una sorta di fondo di emergenza per stabilizzare crisi
pericolosissime. Il problema è che il «bottone rosso» non lo può premere Super Mario ma l'Esm, il fondo salva-Stati verso il quale la Grecia è insolvente per circa 135 miliardi di euro. Ecco perché i timori di Jp Morgan sono fondati.
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