La notizia l'ha colta in contropiede sabato: «Non me l'aspettavo - spiega Francesca Nanni, procuratore generale a Milano - anche se ci avevo sperato». Nel 2019, quando guidava la procura generale di Cagliari, Nanni si era imbattuta nel caso sconvolgente di Beniamino Zuncheddu e aveva firmato una dirompente richiesta di revisione. Ora, dopo 32 anni di prigione, Zuncheddu è libero e all'orizzonte si profila il più grave errore giudiziario della storia italiana.
Lei sostiene l'innocenza di Zuncheddu, all'ergastolo per la strage di Sinnai, gennaio 1991, con tre morti e un ferito. Perché questa scelta così difficile?
«All'epoca venne a trovarmi il giovane difensore di Zuncheddu, l'avvocato Mauro Trogu, e il suo racconto mi colpì».
Che cosa, in particolare?
«Dopo 28 anni di galera, Zuncheddu aveva rinunciato alla libertà condizionale, perché per ottenerla avrebbe dovuto ammettere la responsabilità dell'eccidio».
Più di vent'anni fa le era successo qualcosa di simile con Daniele Barillà, protagonista di un clamoroso errore giudiziario.
«Anche Barillà mi aveva impressionato: era in carcere da più di sette anni per traffico di droga e in pochi minuti con grande calma mi aveva sintetizzato la sua storia: Sono vittima di uno scambio di persona. Semplice e drammatico».
Dunque, lei ha iniziato a studiare le carte della vicenda Zuncheddu?
«Sì, un'estate intera, e più approfondivo più i conti non tornavano. Il movente ipotizzato, una faida agro-pastorale, mi sembrava spropositato. Zuncheddu era un servo pastore, qui si muove un killer professionista di ben altro spessore. Naturalmente, queste sono ipotesi e dobbiamo aspettare la sentenza del processo di revisione».
Come ha proceduto?
«Ho passato le informazioni alla procura di Cagliari che ha aperto un fascicolo per omicidio e ha intercettato Luigi Pinna, il sopravvissuto della strage. La sentenza si basava al 90 per cento sul riconoscimento da parte di Pinna di Zuncheddu, ma era lecito chiedersi come avesse fatto a identificarlo, visto che il killer indossava una calza di nylon e aveva agito al buio».
E è arrivata la prova nuova?
«In un colloquio con la moglie, Pinna aveva ammesso che la verità era un'altra».
Quale?
«Un poliziotto gli aveva mostrato la foto di Zuncheddu, gli aveva detto che l'assassino era lui e di accusarlo davanti ai magistrati. Lui aveva obbedito, salvo vivere con il tormento per trent'anni».
In udienza, nei giorni scorsi, Pinna ha confermato: il riconoscimento non fu genuino. A questo punto sono cadute le prove della colpevolezza?
«Vedremo cosa stabilirà la corte d'appello di Roma. Per ora, e non è poco dopo 32 anni, hanno scarcerato Zuncheddu perché le prove vacillano».
Quale sarebbe dunque la verità di quel massacro?
«Io e l'avvocato Trogu pensiamo che quell'eccidio sia legato al riscatto del sequestro Murgia e riteniamo di aver anche individuato il criminale che sparò quel giorno. Indossava un giubbotto chiaro col colletto coreano, esattamente lo stesso abbigliamento trovato addosso a un bandito sardo, arrestato in seguito, dopo la condanna di Zuncheddu, per il sequestro Murgia e poi morto in carcere».
Anche Barillà fu incastrato da alcuni carabinieri che giurarono di aver preso il suo numero di targa.
«E invece in aula, al momento della revisione, si scoprì che avevano detto il falso. Ecco, questi falsi gravissimi dovrebbero essere sanzionati con mano molto pesante perché hanno conseguenza catastrofiche».
Cosa le ha confidato Zuncheddu in questi
mesi?«Non l'ho mai visto, a differenza di quel che accadde con Barillà, ma l'avvocato Trogu mi ha fatto un complimento meraviglioso: Prima di incontrare lei, avevo quasi perso la fiducia nel sistema, ora l'ho ritrovata».
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