È il giorno delle comunicazioni in Senato del presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, in vista del Consiglio europeo del 15 e 16 ottobre. Un appuntamento che nell'ottica del centrodestra appare come un déjà vu, l'ennesimo confronto tra sordi con un governo che chiede collaborazione istituzionale e poi chiude la porta a qualsiasi proposta.
La linea è quella dell'astensione, il centrodestra, dopo un giro di telefonate tra i leader, sceglie una risoluzione unitaria firmata dai tre presidenti di gruppo Annamaria Bernini, Massimiliano Romeo e Luca Ciriani, presentata in serata. Un documento con il quale si chiede al governo di battersi affinché il Green Deal non sia solo europeo «per evitare che i nostri sforzi vengano vanificati da politiche spregiudicate di altre potenze mondiali; a ricercare un accordo condiviso sul Recovery Fund nel più breve tempo possibile; a garantire un coordinamento al fine di rendere disponibili i vaccini anti-Covid nel più breve tempo possibile».
Il ragionamento che il centrodestra fa, più o meno esplicitamente, è questo: «Votiamo per non indebolire il governo in una trattativa importante, ma il premier ha deciso ancora una volta tutto da solo. Invece che infrastrutture e investimenti seri ha rivendicato il super bonus e gli interventi ecologici, importanti certo ma non risolutivi in un momento storico drammatico come questo».
«Noi ci siamo battuti per il Recovery Fund - spiega a Rai News Antonio Tajani - Non possiamo andare contro, anche se non tutte le cose che ci dice il governo ci convincono». La Lega chiede il coinvolgimento delle Regioni e ricorda che «si tratta di risorse per il Paese, non per il governo» con la senatrice Erika Stefani. Linea di scettica attesa sposata anche da parte di Giorgia Meloni. «Noi abbiamo sempre offerto disponibilità al confronto, è la maggioranza che nei fatti non ha dimostrato disponibilità. Sul Recovery abbiamo fissato delle priorità: il tema del dissesto idrogeologico e la questione del marchio».
Nell' aula del Senato Maurizio Gasparri inizia poi a introdurre il tema del Mes. La palla a quel punto passa alla Camera dove si gioca una delicata partita serale. Forza Italia torna alla carica sul Mes con una risoluzione a prima firma Renato Brunetta, sottoscritta anche da Maurizio Lupi e presentata sulla Relazione della commissione Bilancio sul Recovery Fund. Un documento con cui si invita il Governo tenendo conto dei tempi lunghi del Recovery «a valutare l'opportunità di avvalersi dell'intero pacchetto di strumenti finanziari europei messi in campo, con particolare riguardo all'utilizzo tempestivo della linea di credito del Mes per le spese sanitarie dirette e indirette, a tassi vantaggiosi e senza condizionalità macroeconomiche». Alla prova dei fatti il centrodestra e Forza Italia in particolare riesce a stanare la maggioranza, portando allo scoperto gli imbarazzi di Pd o Italia Viva, favorevoli all'adozione del fondo ma in disaccordo con i Cinquestelle. I renziani decidono di astenersi, il Pd di votare contro. È il ministro per gli Affari Europei Enzo Amendola a spiegare le motivazioni di questa acrobazia parlamentare. «Abbiamo approvato la scorsa settimana una risoluzione con l'impegno del governo che noi confermiamo ad assumere qualsiasi decisione sul Mes». La risoluzione alla fine viene bocciata e votata solamente da Forza Italia. Brunetta fa notare che il Pd, se coerente con se stesso e le proprie convinzioni, avrebbe dovuto appoggiarla. Lega e Fratelli d'Italia, invece, decretano la fine del Mes. «Continua l'imbarazzante balletto all'interno del Governo.
attacca il capogruppo di FdI, Francesco Lollobrigida - Il Pd per compiacere il M5S - aggiunge - si è rifugiato nella ipocrisia votando contro la possibilità di utilizzare il Mes. Il partito di Renzi non ha partecipato al voto sapendo bene che avrebbe avuto il senso della negazione di quel che aveva sempre annunciato. Confidiamo - conclude - che questa sia la pietra tombale sul Mes».
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