Non hanno cambiato il Paese e alla fine, dilaniati da quella violenza tracimata troppo a lungo tra le loro fila, si sono trasformati in una bolla di sapone. I gilet gialli però sono riusciti a cambiare o meglio, a far rinascere, il loro avversario. Un anno fa Emmanuel Macron era un presidente senza qualità. E senza speranze. Il figlio in provetta di un esperimento elettorale perfetto per conquistare le urne, ma inadeguato per sopravvivere alla rabbia di una classe media impoverita, bistrattata e pronta a lapidarlo per la sua appartenenza a una «élite» lontana e indifferente. Ma Macron è sopravvissuto e s'è trasformato.
I gilet gialli no. Tornati in piazza ieri hanno nuovamente esibito tutta la loro debolezza, ovvero la permeabilità alla violenza, l'incapacità di emarginare quei «casseurs» pronti a sfruttarne le sfilate per far razzia nel cuore di Parigi. Ma un movimento incapace di controllare i propri cortei non può guidare un Paese. E così le mobilitazioni di piazza sono rivelate la loro graticola. Invece di diventare, come scommettevano alcuni, la nuova forza elettorale si son trasformati in forza residuale, ferma sotto l'uno per cento alle europee di maggio. Anche perché il malessere delle classi medie era già patrimonio elettorale di Marine Le Pen. E gli scarsi benefici salariali strappati al nemico Macron non sono bastati, nonostante l'abolizione della tassa sul carburante, a trasformarli in alternativa politica credibile. Consapevole del rischio di venir identificata nella deriva anti-sistema del movimento la Le Pen si è ben guardata dall'appoggiare i gilet gialli, ma ne ha incamerato molti voti usandoli per diventare il primo partito di Francia alle scorse europee.
Intanto mentre il suo nemico di piazza si autodistruggeva Macron ha avviato una lenta metamorfosi. Seppur ancor penalizzato dagli ultimi sondaggi - implacabili nell'attribuirgli un gradimento non superiore al 35% - resta l'unico in grado di contrapporsi a Marine Le Pen alle presidenziali 2022. Ma a differenza di una Le Pen inevitabilmente relegata al territorio nazionale, Macron spazia su una scacchiera molto più ampia. Il suo obbiettivo è quello di presentarsi agli elettori come l'ultimo leader europeo capace d'influenzare la grande politica internazionale. E così reinterpretando De Gaulle non ha paura d'accusare di morte cerebrale la Nato, mentre fa affari con Pechino e rimprovera a Bruxelles e Washington di non saper dialogare con Vladimir Putin. Le tappe di questa metamorfosi sono sotto gli occhi di tutti. Il 19 agosto, alla vigilia di un G7 di Biarritz che non è più 8 proprio per l'espulsione della Russia dopo l'annessione della Crimea, invita Vladimir Putin nella sua residenza estiva. E all'indomani spiega platealmente ad Washington e Bruxelles la necessità di «dialogare con la Russia». Dietro quella mossa si cela l'aspirazione a trasformarsi nell'ago della bilancia capace di portare alla pace Russia e Ucraina approfittando dell'autoemarginazione dell'America di Trump e del crepuscolo di Angela Merkel. In Europa la «grandeur» ha la forma della sfida sprezzante a un Europarlamento colpevole di avergli bocciato il candidato commissario Sylvie Goulard. Una bocciatura a cui risponde proponendo Thierry Breton, ovvero un ex ministro dell'Economia, attuale presidente di una grande multinazionale, che rappresenta una sorta d'ossimoro vivente rispetto ai rigidi mantra europei sul conflitto d'interessi. Ma la grande metamorfosi di Macron è tutta nell'ottica della contrapposizione alla Le Pen. E lo dimostra il discorso ai suoi deputati in cui, a settembre, detta le linee guida per le presidenziali del 2022. «Pretendendo di essere umani si rischia di diventare troppo lassisti - avverte il capo di stato francese - Non abbiamo il diritto di non guardare in faccia il problema dell'immigrazione.
Le classi agiate non hanno problemi con gli immigrati perché non li incontrano mai. Le classi popolari ci vivono assieme. La sinistra da decenni finge di non vedere questo problema». Come dire: «I gilet gialli e la sinistra sono morti. E la vera Marine Le Pen d'ora in poi sarò solo io».
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