Buffetto della Cassazione al pm che ha dimenticato due detenuti in carcere

Solo la sanzione della censura per averli lasciati dietro le sbarre per oltre 200 giorni

Buffetto della Cassazione al pm che ha dimenticato due detenuti in carcere

Aveva «dimenticato» due detenuti in cella. Il primo per 208 giorni, il secondo solo, si fa per dire, per 116 giorni. Per questo un pubblico ministero di Lecco è stato condannato, in sede disciplinare, alla sanzione della censura. O meglio, le Sezioni unite civili della cassazione hanno confermato la pena stabilita nel procedimento di primo grado. Il caso può andare in archivio, anche se resta tutta l'inquietudine che una storia del genere suscita. Come può essere che un pm si scordi di due imputati anche se i termini della custodia cautelare sono scaduti da mesi?

Eppure queste sono le storie portate a giudizio, prima davanti alla Sezione disciplinare del Csm, poi alle Sezioni civili unite delle Cassazione. Il capo d'incolpazione parla chiaro: il magistrato «in grave violazione di legge, aveva ammesso» il doppio errore: aveva controllato la situazione di due detenuti, in due distinte vicende, con un clamoroso ritardo. E aveva dunque chiesto la scarcerazione con mesi e mesi di ritardo: 116 giorni in un caso, addirittura 208 nell'altro. Si potrebbe obiettare che la responsabilità non è solo dell'accusa. Anzi, il pm è una parte, è il giudice che decide e dov'era il gip? Purtroppo l'errore, già di per inammissibile, diventa ancora più incredibile se si pensa che sono almeno tre i soggetti che dovrebbero controllare il countdown: il pm, il giudice e poi l'avvocato difensore. Qui se possibile la situazione si fa ancora più imbarazzante. Come fa un penalista che abbia a cuore non tanto la dignità del cliente ma la propria professionalità a non accorgersi di quel che sta accadendo? Dobbiamo immaginare un avvocato non di fiducia, ma d'ufficio, e svogliato, ma così svogliato da trascurare il minimo sindacale. E da meritare, a sua volta, un procedimento davanti all'Ordine. O agli Ordini perché parliamo di due capitoli non collegati, se non dagli svarioni del pm. Al peggio purtroppo non c'è limite.

E questa sciatteria vergognosa è una ferita nel decoro della giustizia. Al Csm arrivano trame che hanno dell'incredibile. Del resto, giusto tre giorni fa, il Giornale ha raccontato un'altra storia poco edificante, conclusa con la stessa sanzione davanti alle Sezioni unite civili della Cassazione: un altro magistrato, un pm di Potenza, aveva chiamato per ben 65 volte dal cellulare di servizio maghi e previsioni del lotto. Per questo le era stata inflitta la censura. Si può dire che in quel caso il magistrato aveva ceduto ad una debolezza sacrificando il rigore dell'istituzione per catturare la sorte. Qua il problema è ancora più grave: è inammissibile dimenticare una persona in cella per giorni e giorni e questo a prescindere dalla sua eventuale innocenza. Il magistrato ha cercato di lasciare il cerino nelle mani del giudice, anche perché in uno dei casi esaminati c'era già stata la richiesta di rinvio a giudizio e dunque il pm non aveva più la disponibilità del fascicolo processuale. Non importa. E nemmeno conta, a scusante almeno parziale, il fatto che nell'altro caso il fascicolo incriminato appartenesse ad un blocco di 900 procedimenti originariamente assegnati ad un'altra toga. Il pm, lo stesso che l'anno scorso nel salotto di Bruno Vespa protestava contro il taglio delle ferie ventilato per la corporazione da Renzi, doveva vigilare. Il pm, spiegano gli ermellini, deve «costantemente verificare la sussistenza delle condizioni che giustificano la privazione della libertà personale».

Non c'è un prima e un dopo, una fase più o meno importante e nemmeno conta la mole di lavoro che pesa sulle spalle di quel magistrato. L'ingiusta privazione della libertà è un fatto «estremamente grave». Di qui la censura. Senza se e senza ma.

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