La prima grande batosta è arrivata alla fine di settembre quando il New York Times ha pubblicato uno «special report» durissimo: Wikileaks è ormai diventato un bastione dell'antiamericanismo a livello mondiale. L'astro di Julian Assange ha smesso così di brillare. Derubricato a semplice spione. Ma è solo la coda della fine.
Eppure c'è stato un tempo- e neanche molto lontano- in cui l'hacker più temuto della Terra era stato scelto dai grandi media liberal per impersonare il ruolo dell'eroe. Di più. Paladino senza macchia contro gli oscuri poteri forti. Ne era uscito un mito più che contemporaneo, il liberatore delle trame occulte, l'uomo-guerriero solo contro un sistema oscuro che rubava le informazioni segrete per condividerle in rete, notizie più che sensibili date in pasto alle folle. L'uomo hacker che si vantava di distruggere il potere dall'interno, che lo combatteva, anzi di più, lo ridicolizzava. Fuori trovava l'esaltazione della rete, assetata di notizie inconfessabili, terribili segreti, e lui, che con il vento in poppa, si definiva un anarchico, libertario e cypherpunk, che predicava trasparenza assoluta incassava applausi. I media liberal in prima fila ad applaudire, sempre dietro, con maggiore o minore convinzione, ricordando che la sua battaglia era una buona battaglia. Per anni, a cadenza più o meno regolare, la sua associazione, Wikileaks, ha sfornato documenti segreti e riservati, rubati da qualche server governativo o da qualche grande agenzia, pubblicandoli senza curarsi particolarmente dei nomi e dei dati in essi contenuti, della privacy, della pericolosità degli stessi. Oggi sembra passato un secolo e Julian è sempre più solo. Da paladino della giustizia a uomo torbido il passo è stato breve.
L'altro ieri Obama ha graziato la talpa Chelsea Manning (al tempo Bradley) che trafugò migliaia di documenti del Pentagono sulle guerre americane in medio oriente. Settecentomila segreti diplomatici e militari che Manning aveva messo in circolazione. Manning, che nel frattempo in carcere ha cambiato sesso e tentato due volte il suicidio, uscirà dal carcere il 17 maggio dopo aver scontato sette dei 35 anni a cui era stata condannata. Assange, riparato in ambasciata dell'Ecuador di Londra, aveva chiesto la grazia per Manning più e più volte. Nei giorni scorsi aveva pure promesso di consegnarsi agli Stati Uniti. «Se la liberi mi consegno», aveva scritto ad Obama.
Ora, che il perdono umano c'è stato, l'hacker anarchico è ancora più in difficoltà. Sembrava non avere più scelte e si era detto pronto a farsi estradare negli Stati Uniti. Lo aveva confermato un legale di Assange, Melinda Taylor, che aveva fatto sapere che il giornalista «resta fermo su tutto ciò che ha detto». Inoltre, un altro tweet di Wikileaks sembrava suggerire che il fondatore volesse prendere in considerazione l'eventualità di un processo negli Usa: «Assange è pronto ad andare se saranno garantiti i suoi diritti». poi il colpo di scena.
È stato un altro legale di Assange, Barry Pollack, a far sapere che la decisione di Obama di ridurre la pena per Chelsea Manning «è meno di quanto volesse: la grazia e la scarcerazione immediata». Morale? Julian Assange non si consegnerà alle autorità degli Stati Uniti. Tutto un bluff. Ennesima caduta di questo eroe caduto nel vuoto della rete.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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