Fossero andati uniti al voto lucano, oggi Matteo Renzi e Carlo Calenda (nelle foto) sarebbero il secondo partito della Basilicata, subito dopo Fdi.
Ma già solo da alleati, con le loro liste che insieme sfiorano il 15%, sono stati determinanti per la vittoria del governatore uscente Vito Bardi, di Fi. E potevano essere determinanti per la vittoria del centrosinistra, se quest'ultimo - con notevole lungimiranza - non li avesse cacciati dalla coalizione. Perché, nel culto del rapporto privilegiato con M5s, il Pd ha accettato il veto messo da Giuseppe Conte sui centristi, ed è finita com'è finita. Racconta Carlo Calenda: «Hanno delegato a Conte, col 7%, la gestione della coalizione. Smontando e rimontando candidati. Tirando fuori un oculista per 48 ore. Con la Schlein che non rispondeva al telefono a me e nemmeno ai suoi».
Certo, la Basilicata è un caso particolare: l'exploit elettorale dei centristi è stato trainato da due pezzi da novanta delle preferenze e del radicamento territoriale: l'ex governatore Marcello Pittella per Azione e il consigliere regionale Mario Polese per Iv. Ma anche lì, a provocare il patatrac, sono stati gli errori del centrosinistra. «Ovviamente - nota Calenda - era folle regalare Pittella alla destra, come hanno scelto: l'arroganza di Conte e l'ignavia di Schlein sono il mix che distruggerà la sinistra». Perché sia Pittella che Polese erano nel Pd: il primo fatto fuori in nome del giustizialismo (arrestato, processato, poi assolto ma intanto scaricato) e Polese emigrato in Italia viva dopo la svolta sinistrorsa dei dem. E infatti nessuno dal Pd se la sente non solo di commentare la débâcle lucana, ma neppure di additare i centristi come traditori della causa: «Nei giorni convulsi della costruzione della coalizione - racconta il dem Salvatore Margiotta - alcuni di noi hanno spiegato che con Azione e Iv la partita si poteva vincere. I numeri dimostrano che avevamo ragione», ma sono prevalsi «strabismi e rapporti esclusivi» con i 5s.
La renziana Lella Paita, che con i consiglieri uscenti di Iv Polese e Braita ha costruito l'operazione, esulta: «È stato un test importantissimo per dimostrare che un centro mobile e capace di far politica è in grado di spostare l'asse delle coalizioni verso posizioni moderate e riformiste. Basta fare i conti: noi abbiamo il 7,2%, Calenda il 7,5%, Forza Italia è oltre il 13%. Insieme, siamo più forti di Fdi e Lega: la maggioranza di Bardi è ora a trazione centrista e non più di destra». Uno schema «che già avevamo testato a Genova attorno al sindaco Bucci, e che ora proveremo a Forlì con il sindaco civico Zattini», ma che «può diventare un modello anche a livello nazionale». Perché «si vince al centro», sottolinea Matteo Renzi: «Bardi ha scelto noi e ha vinto. Il Pd ha scelto M5s e ha perso. Tutto il resto è noia».
Si tratta di uno schema che si può ripetere anche a Roma, come auspica lo stesso Bardi? Calenda è cauto: «Posso rispondere per me: io sto dove sono sempre stato, per il tempo necessario a far crescere Azione a sufficienza per
poter spaccare il bipolarismo. Fine». Ora, per lui e per Renzi, le elezioni europee sono cruciali per misurare il loro peso futuro nella formazione o trasformazione delle coalizioni. E rischia di essere una lotta fratricida.
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