Israele ha negato d'aver spiato l'alleato americano. Lo ha fatto ripetutamente ieri attraverso le dichiarazioni seccate di tre ministri. Il Paese, in cui sono cominciate da poco le consultazioni per la formazione di una coalizione capace di portare il premier Benjamin Netanyahu a formare un governo, ha votato appena una settimana fa. Si è svegliato ieri al trambusto creato da un articolo del Wall Street Journal in cui funzionari ed ex funzionari anonimi dell'Amministrazione raccontano come l'intelligence nazionale avrebbe ottenuto informazioni sui negoziati a porte chiuse sul nucleare tra la comunità internazionale e l'Iran e le avrebbe girate a deputati del Congresso ostili a una possibile intesa. Proprio in questi giorni, e prima del 31 marzo, le trattative e i serrati colloqui in Europa tra il cosiddetto 5+1 (Gran Bretagna, Francia, Germania, Russia, Cina, Unione Europea) e Teheran dovrebbero entrare in una fase cruciale e forse conclusiva.
I consecutivi governi del premier Netanyahu, vincitore al voto di martedì, si sono opposti con forza a un possibile accordo e soltanto poche settimane fa il premier ha tenuto al Congresso americano un controverso discorso contro una possibile intesa internazionale. Le sue parole, una critica robusta alla politica di aperture verso l'Iran del presidente Barack Obama, sono state interpretate come un'ennesima crepa nelle relazioni sempre più turbolente tra Stati Uniti e Israele. A poche ore dall'apertura dei seggi nel Paese, il primo ministro ha dichiarato che in caso di un suo rinnovato mandato uno Stato palestinese non avrebbe visto la luce. Pur avendo fatto un passo indietro in un'intervista una volta ottenuta la vittoria, l'uscita pre-elettorale di Netanyahu, mirata a cementare il voto della destra ultra-nazionalista, ha aggravato la situazione con Washington. «Rivaluteremo» la nostra strategia sul processo di pace in Medio Oriente, ha detto un portavoce della Casa Bianca; i commenti di Netanyahu rendono più difficile trovare una strada verso il negoziato, ha dichiarato Obama allo Huffington Post .
«Non c'è una cosa che si chiami spionaggio israeliano nei confronti degli americani», ha tagliato corto ieri il ministro della Difesa israeliano Moshe Ya'alon. Da Parigi, dove si trovava proprio per fare pressioni contro un «cattivo accordo» con l'Iran, il responsabile per gli Affari strategici Yuval Steinitz parla di «affermazioni prove di fondamento», mentre sulla radio dell'esercito il ministro degli Esteri Avigdor Lieberman ha fatto capire che se l'intelligence israeliana ha ottenuto informazioni sui negoziati lo ha fatto spiando direttamente gli iraniani.
Comunque sia andata, l'ennesimo battibecco tra due alleati di vecchia data arriva in un momento in cui Teheran spera nella firma di uno storico accordo sul suo programma atomico e rafforza una serie di successi regionali.
Da una parte, le milizie sciite iraniane stanno solidificando il loro ruolo chiave nella lotta contro lo Stato islamico in Irak, dall'altra in Yemen i ribelli sciiti Houthi, appoggiati da Teheran, hanno preso il controllo della capitale e allontanato il presidente Abed Rabbo Mansour Hadi, alleato centrale nella strategia di controterrorismo mediorientale dell'America. Soltanto un anno fa, Obama aveva parlato dello Yemen e della collaborazione con il suo leader, al potere dopo le rivolte del 2011, come esempio di successo del controterrorismo americano.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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