Meglio tardi che mai. Sei anni e quattro Presidenti del Consiglio dopo (Gentiloni, Conte, Draghi, Meloni) Emmanuel Macron è pronto a scendere a patti con l'Italia. Non c'è da essergli grati, ma c'è da esser soddisfatti. Anche perché l'ira del gallico Emmanuel divampata quando, nel 2017 scopri che les italiennes di Fincantieri si stavano pappando i Chantiers de l'Atlantique ha fatto molti danni. In Libia ha messo fuori gioco entrambi i paesi. Nel Sahel ha vanificato la lotta ai gruppi jihadisti. Nel Mediterraneo ha bloccato l'azione contro le Ong impegnate a traghettare in Italia gli irregolari pronti poi a raggiungere la Francia. Alla fine, però, anche il permaloso Emmanuel ha capito di aver poco da guadagnare. Il ripensamento, seguito dal tête-à-tête di Bruxelles con Giorgia Meloni, è favorito da almeno cinque ottime ragioni.
Al cuore di tutto c'è il tormento di un Presidente immolatosi sull'altare delle pensioni. Una scelta che ha incendiato le piazze e fatto crollare ai minimi termini la sua popolarità. Per uscirne vivo Macron ha un disperato bisogno di successi sul fronte europeo. Ma su quel fronte la tradizionale diarchia con Berlino traballa più che mai. Il cancelliere tedesco Olaf Scholz, prigioniero degli alleati Verdi, sembra assai poco disposto a sostenerlo per garantire alle centrali nucleari francesi l'indispensabile patente europea di energia «green». E ancor più difficile si prospetta la partita per la revisione del patto di stabilità. Un patto che Parigi auspica, al pari di Roma, ricco di flessibilità e libero dagli austeri vincoli prospettati dalle autorità finanziarie tedesche d'intesa con l'Olanda e la Banca Centrale di Christine Lagarde. Gli accordi con un'Italia bisognosa di flessibilità e tentata da un ritorno all'energia nucleare sono dunque una strada obbligata. Gli stessi accordi possono estendersi alla Libia, alla Tunisia e al Sahel nella prospettiva della lotta al traffico di uomini nel Mediterraneo e all'avanzata jihadista nel Sahel. In Libia, nonostante i nostri interessi energetici e politici fossero confinati in Tripolitania e quelli francesi in Cirenaica, Macron s'è giocato tutto alleandosi con il generale Khalifa Haftar, nel cocciuto tentativo di sloggiare l'Italia. Con il risultato di ritrovarsi fuori gioco in Cirenaica e favorire, complici gli errori dell'era Conte, l'indebolimento dell'Italia e l'ascesa della Turchia in Tripolitania. Errori madornali a cui Parigi e Roma possono rimediare solo giocando insieme l'imminente partita internazionale per la stabilizzazione della Libia.
In Tunisia i giochi non sono meno cruciali. In una nazione dove la tradizione coloniale è francese, ma l'Italia fu mentore del deposto presidente Ben Alì, Parigi e Roma devono unire le forze per impedire il collasso del paese e bloccare un esodo di migranti pronto a invadere le coste italiane per poi tracimare Oltralpe. E lo stesso dicasi per un Sahel dove, nonostante l'avanzata jihadista, Mali e Burkina Faso preferiscono rimandare a casa le truppe francesi.
Uno sfratto che rischia di costare caro, in termini di sicurezza, sia a Parigi, sia al nostro Paese. Uno sfratto da ricomporre anche a costo di far più spazio a quell'Italia che 2018 Macron voleva fuori dalle sue basi in Niger.
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