«L'uso dei tamponi va ridimensionato e la politica deve prendere una decisione sul green pass in tempi rapidissimi se l'attuale trend del contagio è irreversibile». Guido Rasi, microbiologo ed ex numero uno dell'Agenzia italiano del farmaco nonché consigliere del commissario Francesco Paolo Figliuolo, spiega perché il sistema dei controlli ora scricchiola. «In un momento di bassa circolazione del virus la percentuale d'inesattezza del tampone era accettabile. Con una circolazione crescente, l'incertezza diventa critica. Serve un green pass che dia maggiori garanzie. Siamo molto a rischio, il nostro equilibrio è precario».
Gli antigenici sono da abolire?
«Il green pass andrebbe concesso solo a chi si vaccina. Che poi implica la vaccinazione obbligatoria per alcune categorie. È intollerabile che ci siano i dipendenti pubblici, militari, agenti delle forze dell'ordine, cioè servitori dello Stato, che non garantiscono il massimo della sicurezza possibile in questa situazione».
Quindi neppure i molecolari servono per ottenere il green pass?
«Quelli vanno utilizzati solo per chi partecipa a feste o a eventi. Un tampone ti garantisce poche ore di certezza».
Lei insiste sull'obbligo vaccinale per il settore pubblico. E per il privato?
«Il vaccino diventi obbligatorio anche per i privati se il loro lavoro facilita la circolazione del virus. Penso al personale viaggiante, ai baristi, ai ristoratori, a chi lavora nei supermercati. È una necessità sociale».
L'Iss dice che dopo sei mesi l'efficacia del vaccino crolla. Ma legalmente il green pass è valido per un anno.
«C'è un calo progressivo della protezione riguardo alla trasmissione, mentre rimane quasi intatta quella per la severità della malattia e della morte».
E in questa situazione cosa suggerisce di fare?
«Servono simulazioni con algoritmi per capire cosa si rischia ad avere un lasciapassare nonostante il calo della protezione. Israele ci insegna che un vaccinato riesce a far circolare il virus durante il suo declino dell'immunità. E si aprono delle finestre di infezioni».
Quindi la terza dose è un percorso inevitabile per tutti?
«È un richiamo che fa risvegliare il nostro sistema immunitario. Gli anticorpi tornerebbero a prevenire anche la trasmissione fino all'80 per cento, quello in base al quale si è costruito il green pass ci ha consentito di fare una vita quasi normale».
Dovremo fare richiami ogni sei mesi?
«La terza dose completa il ciclo vaccinale e l'immunità verosimilmente potrà durare anche 4-5 anni. Richiami annuali posso essere ipotizzati solo per i fragili e gli anziani».
Ora tocca ai bambini.
«A fine mese Ema darà il parere. Ma i pediatri, lanciando un vero e proprio grido di dolore, si sono espressi a favore del vaccino, per i vantaggi e i benefici che ne trarranno i bambini a prescindere dalla conseguente riduzione della circolazione del virus».
Intanto le prime dosi vanno molto a rilento.
«Bisogna convincere quelle persone titubanti che si fanno condizionare. Non ci possiamo permettere di far morire altre migliaia di persone e a saturare pronti soccorso e reparti per colpa di chi rifiuta il vaccino».
Solo l'obbligo vaccinale potrebbe avvicinarli alla siringa.
«Un obbligo senza sanzione non serve a nulla. Bisogna insistere e non mollare. Un mio maestro di comunicazione diceva che una cosa diventa vera dopo la nona volta che la si sente. E i protagonisti delle fake news lo sanno bene».
Condivide la stretta sulle manifestazioni?
«Non è una punizione, ma una necessità.
Si può scendere in piazza purché si rispettino le distanze, si evitino gli assembramenti e si favoriscano le uscite a piccoli gruppi. Serve serietà. Le misure richieste si basano su evidenze scientifiche: dove c'è aggregazione ma niente vaccino e mascherine, circola il virus. Pericolosamente».
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