Colle, Letta minaccia la crisi. Allarme Omicron sull'elezione

Il segretario Pd: "Presidente scelto da maggioranze ristrette? Cade il governo". Fico dice no al voto online

Il segretario del Pd Enrico Letta
Il segretario del Pd Enrico Letta

L'allarme, dopo il voto di ieri sulla manovra, lo lancia il dem Stefano Ceccanti: «Oggi 400 deputati presenti su 630, anche a causa della variante Omicron. Qualcuno che può decidere sta pensando a come eleggere il presidente della Repubblica in modo regolare e razionale?».

Quel «qualcuno» si chiama Roberto Fico, eredità della triste stagione dell'«uno vale uno», e la risposta alla domanda di Ceccanti è: no. Nelle mani del presidente della Camera sta infatti il potere assoluto di decisione sull'organizzazione dei lavori in occasione del voto per il Colle, e finora non pare aver preso in considerazione il fatto che in quei giorni, a Montecitorio, si verificherà un gigantesco assembramento di alcune migliaia di persone, in ambienti ristretti: 1.000 e rotti Grandi elettori, più un'affluenza colossale di giornalisti, portaborse, funzionari, personale, imbucati vari. Soprattutto, Fico non ha preso in considerazione il problema sollevato da Ceccanti e altri: come si assicurerà il diritto di voto di tutti quei parlamentari che risulteranno positivi al Covid e che, vista la virulenza di Omicron, rischiano di essere in numero tale da rendere irraggiungibile il quorum obbligatorio. Un vero e proprio rischio istituzionale.

La soluzione, semplicissima e adottata in tutti i Parlamenti democratici, a cominciare da quello Europeo, c'è ed è semplicissima: basterebbe attivare la possibilità di voto a distanza, via computer. È stata più volte proposta, fin dall'inizio della pandemia, ma la burocrazia di Palazzo (avversa per costituzione a ogni novità) ha messo il veto, e Fico si è subito adeguato. Non ha neppure reso obbligatorio il tampone per chi entra in aula, ma soprattutto non ha previsto alcuna soluzione per chi sarà costretto all'isolamento. Di certo non c'è del resto neppure la data di inizio delle votazioni: quella più gettonata è assai tardiva, intorno al 24 gennaio (prima, dal 17 gennaio, la Camera dovrà esaminare il decreto sul Super Greenpass, in scadenza), ma prima del 4 gennaio, quando Fico convocherà la seduta a Camere riunite, non si saprà con sicurezza. E il problema delle assenze forzate causa Omicron, nonostante l'allarme crescente tra i parlamentari, pare destinato a restare insoluto. L'unica risposta, per ora, pare quella di imporre un ulteriore rallentamento alle operazioni di voto: non ci saranno due scrutini al giorno, ma solo uno, nel tentativo di diluire l'affollamento che però ci sarà ugualmente. Ed è proprio questo calendario di inusitata lentezza, e la speranza del dilagare di Omicron, ad alimentare le ultime speranze di chi ancora punta su un congelamento dello status quo, con cedimento di Mattarella al bis che lasci Draghi a Palazzo Chigi.

Nei partiti, intanto, continua il gioco di melina sul Colle. Il segnale meno nebbioso è arrivato ieri dal segretario dem Enrico Letta, che ha aperto (tra vari giri di parole) all'ipotesi Draghi al Colle, a patto che si trovi un accordo solido su chi lo sostituirà a Palazzo Chigi. «Quel che è certo è che Draghi va comunque tutelato e protetto, per il bene del paese», dice Letta. E in ogni caso, avverte, se sul Quirinale ci fosse «una maggioranza più stretta» di quella al governo, «il governo cadrebbe».

Anche dal centrodestra arriva un segnale pro-Draghi, con il sindaco di Venezia Brugnaro che, riconoscendo che «Berlusconi è un candidato di parte ma credibile e agibile», dice che «Draghi è garanzia di stabilità per il paese, mi auguro venga votato per il Colle».

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