È buon momento, questo, per il conservatorismo. Pesa, naturalmente, il fatto che in Italia sia al potere un governo di centro destra egemonizzato da un partito e guidato da una leader che si definiscono conservatori. E pesa anche l'ipotesi che, con le elezioni europee del 2024, il gruppo conservatore al Parlamento di Strasburgo possa acquistare maggior peso anche a livello continentale. Questi elementi contingenti sono d'altra parte il frutto di una corrente storica più profonda, la cui presenza è testimoniata dal decennio d'instabilità politica che abbiamo appena vissuto. Per descrivere questo decennio è stata spesso utilizzata la parola «populismo». Ma sarebbe forse più appropriato il termine «protesta»: protesta, in particolare, contro il tentativo, compiuto nei trent'anni precedenti, di modificare in profondità gli esseri umani così da renderli adatti a vivere in un mondo globalizzato e in società radicalmente individualistiche. Ribellione, insomma, contro un'«antropologia della tabula rasa» che ha la pretesa di sradicare l'uomo, di isolarlo dalle tradizioni e peculiarità culturali del contesto storico e geografico nel quale è nato e cresciuto, così che possa auto-costruirsi in astratto come cittadino del mondo. La protesta è stata istintiva, irriflessa, ha assunto le forme più diverse da un Paese all'altro. Non per caso, anche gli studiosi che la definiscono «populista» non riescono poi a concordare su che cosa sia davvero, questo benedetto populismo. Spesso la rivolta si è collocata politicamente a destra, ma ha prodotto ben scarso pensiero originale, né si è ricollegata alla tradizione conservatrice altro che superficialmente e sporadicamente. Eppure, l'antropologia della tabula rasa è il bisecolare nemico mortale del conservatorismo. È naturale, perciò, che nel momento in cui la protesta comincia a sedimentarsi e, nella sua forza, a entrare nelle istituzioni e assumere compiti di governo, la tradizione conservatrice si candidi a darle forma e indirizzarla. Oggi il conservatorismo attrae l'attenzione perché vuole svolgere la funzione (...) entro il quale la protesta che è stata detta populista possa colare e solidificarsi.
Non mi sembra un caso, allora, che Marco Invernizzi e Oscar Sanguinetti abbiano deciso proprio adesso di sobbarcarsi al compito non facile di ripercorrere la tradizione conservatrice tanto nelle sue scaturigini filosofiche quanto nelle sue vicende storiche, dedicando particolare attenzione all'Italia, ma senza trascurare il più ampio quadro occidentale. Il compito non sarebbe facile per nessuna ideologia: né per il liberalismo, né per il socialismo. Ma tanto più lo è per il conservatorismo, poiché quello è naturalmente, strutturalmente ostile ai processi di razionalizzazione, sistematizzazione e generalizzazione caratteristici della modernità. A tal punto che, come avviene anche in queste pagine, può mettersi in forse l'idea stessa che si tratti di un'ideologia. Le ideologie nascono infatti con la Rivoluzione francese allo scopo di guidare gli esseri umani nell'opera di trasformazione pianificata del mondo. Ma è proprio questa trasformazione pianificata quel che il conservatorismo massimamente detesta. Se ideologia è, allora, è un'ideologia anti-ideologica.
Invernizzi e Sanguinetti, con il contributo sostanzioso di Andrea Morigi, Francesco Pappalardo e di Mauro Ronco, ci danno una ricostruzione quanto mai ricca di dettagli, protagonisti, eventi, sfumature, ripercorrendo i passaggi fondamentali degli ultimi duecento anni di storia occidentale e soffermandosi in particolare sull'evoluzione di una tradizione conservatrice difficile ma, forse proprio per questo, di particolare interesse come quella italiana. Un autentico tour de force, attraversato da una tensione di fondo, che, d'altra parte, emerge da queste pagine come costitutiva del conservatorismo. Il libro si richiama a un conservatorismo che guardi all'ordine politico e sociale precedente il 1789 (...) Però emerge anche, nelle pagine che seguono, come il conservatorismo non possa rifiutare in blocco i frutti della modernità, ma debba sapervi distinguere quel che può essere integrato nella sua visione del mondo da quanto è invece del tutto incompatibile con essa. La tensione fra i punti di riferimento non negoziabili e la necessità di confrontarsi con i duecento e più anni trascorsi dalla frattura della Rivoluzione francese è evidente, come mostra questo libro, nelle relazioni storiche e teoriche fra le differenti sfumature del pensiero conservatore. Tanto più è destinata a emergere e dovrà essere sciolta, quella tensione, sul terreno contemporaneo, pratico e politico.
Sul quale si porrà anche il problema del rapporto fra il conservatorismo e altre tradizioni ideologiche di certo più vicine alla modernità, ma che possono essere altrettanto ostili all'antropologia della tabula rasa a partire da alcuni filoni del liberalismo.
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