Se c'è un melodramma dove la Russia ne esce con le ossa rotte, quello è Boris Godunov di Modest Musorgskij, il titolo che il 7 dicembre aprirà la stagione della Scala come previsto più di un anno fa: le nuove produzioni si programmano con largo anticipo, e a maggior ragione se si tratta di una prima della Scala. Bastano questi due aspetti per comprendere perché Boris non si leva dal cartellone della stagione come chiesto da 23 associazioni e cittadini ucraini che il 25 ottobre hanno promosso una petizione online, firmata da sole 863 persone, in sostanza: un flop.
Ieri si è aggiunta la lettera del console ucraino a Milano, Andrii Krtysh, che si è rivolto al sovrintendente della Scala Dominique Meyer, al presidente della Regione Attilio Fontana e al sindaco, e presidente della Fondazione Scala, Beppe Sala per manifestare il dissenso sulla programmazione del teatro milanese accusato di essere troppo aperto alla cultura russa. Tale perché ha ospitato la cantante russa Anna Netrebko, il soprano di punta del momento e per questo protagonista, lo scorso maggio, di una delle serate più riuscite e applaudite della stagione. Oltre a Boris vi saranno altri titoli russi come Lo Schiaccianoci, balletto di Cajovskij. Non è chiaro se rientrino tra i titoli proibiti anche opere italiane su soggetto russo, il caso di Fedora di Umberto Giordano vista in ottobre. Per citare le parole del console, si chiede di «rivedere il programma della stagione al fine di bloccare eventuali elementi propagandistici» con l'auspicio che si avvicini «il momento in cui i confini dell'Ucraina, e con essi la pace del nostro continente, saranno ripristinati» e così la cultura russa potrà «tornare ad essere svincolata dalla sua realtà politica».
Ora. Un allestimento nuovo di zecca come il Boris Godunov chiede mesi di lavoro da parte degli artisti da scritturarsi per tempo, i contratti vanno onorati da entrambe le parti. Stesso discorso per scene e costumi frutto dell'alta manifattura italiana, un artigianato che ha i suoi tempi: lunghi. Questa la parte tecnica, quanto al versante ideologico, sappiamo che il regista Kasper Holten va oltre il libretto tratto da Puskin che stampa un punto di domanda sul fatto che Boris abbia ucciso il giovane erede al trono, anche gli storici sono scettici su modi e ragioni di questa morte. Holten invece àncora la sua lettura alla certezza che Boris abbia fatto sgozzare il ragazzo, per diventare zar, una chiave interpretativa (dettata dai tempi?) talmente potente, e discutibile per le ragioni di cui sopra, che l'immagine del fanciullo insanguinato è stata assunta per la campagna di comunicazione dell'opera. Boris fa più male che bene alla Russia, come le troppe pellicole sulla mafia che circolando nel mondo hanno contribuito ad alimentare il parallelismo Italia/Paese della mafia.
Boris Godunov semmai è un'occasione mancata per i cantanti ucraini inseriti inizialmente
nel cast ma indotti a rinunciare per non urtare la madrepatria. Il paradosso è che i cantanti ucraini brillano proprio nel repertorio russo, gli aut aut di Kiev li candida alla disoccupazione. La cultura non si cancella.
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