
L'ordinanza a sezioni unite della Corte di cassazione sul caso Diciotti che prevede di risarcire il richiedente asilo M. G. K. per ogni giorno (tra il 16 e il 25 agosto del 2018) in cui gli sia impedito il libero sbarco in Italia dalla nave della Guardia costiera è una mina sulla politica migratoria Ue, pronta a scoppiare a brevissimo. Il rischio maggiore è condizionare i criteri di pianificazione dello smistamento dei migranti, scaricando sul Sud come Place of safety più vicino il peso di tutti i flussi del Mediterraneo. E questo farebbe naufragare nuovamente il Protocollo Albania, soprattutto se - come avrebbe deciso il governo con un decreto ad hoc prossimo all'approvazione - i due hotspot di Shengjin e Gjader dovessero essere trasformati in Centri di rimpatri in Paesi terzi o return hubs, vale a dire Cpr in cui spedire i migranti irregolari a cui è stata già respinta la domanda di protezione internazionale, punto centrale del nuovo Patto immigrazione e asilo presentato ieri a Strasburgo dalla vicepresidente della commissione Ue Henna Virkkunen e dal commissario Ue a Interni e Migrazione Magnus Brunner.
Il perché lo ha spiegato all'Adnkronos l'esperto in Diritto della navigazione Giuseppe Loffreda, fondatore del think tank di settore Legal4Transport. «Questa ordinanza aprirà la porta a migliaia di ricorsi, tutte le volte in cui la nave non venga inviata il più vicino possibile dal punto Sar di soccorso (Safe and rescue, ndr)», vale a dire «Lampedusa o al massimo Sicilia e Calabria, quindi al Sud». Figurarsi se venissero portati in Albania, visto che di fatto l'ordinanza in qualche modo «legittima» l'ingresso in Italia anche per chi non ha diritto. E chi stabilisce quanto è lecito che un richiedente asilo resti su una nave, che è comunque territorio italiano, si chiede Loffreda, secondo cui «il rischio di richieste di multipli risarcimenti da parte dei migranti soccorsi e sbarcati in Italia o in Albania è ormai concreto», in attesa che la Corte d'Appello di Roma quantifichi il danno cagionato al singolo migrante che ha fatto appello, un importo comunque destinato a pesare in futuro sui nostri conti pubblici. Una prospettiva che aveva evidentemente portato l'accusa a sconfessare il risarcimento per la «restrizione arbitraria della libertà personale» a cui invece le sezioni unite hanno dato credito.
Intanto il Csm ha deciso di aprire una pratica a tutela della prima presidente della Cassazione Margherita Cassano (a sinistra) dopo lo scontro durissimo con il presidente del Consiglio Giorgia Meloni, il vicepremier Matteo Salvini e gli altri rappresentanti del centrodestra che hanno osato criticare la sentenza sulla Diciotti. La richiesta «a tutela dell'indipendenza e del prestigio delle Sezioni Unite civili della Corte di Cassazione» è stata avanzata - guarda caso - dai tre membri laici di Roberto Romboli (Pd), Ernesto Carbone (Italia Viva) e Michele Papa (M5s) dopo «le polemiche sul caso Diciotti e i commenti di diversi esponenti politici volti alla delegittimazione della Corte e lesivi del prestigio e della funzione nomofilattica della Cassazione», con espressioni lesive come «sentenze ideologiche», «sentenza vergognosa», «invasione di campo indebita», «decisione frustrante» che secondo i tre laici «adombrano, in maniera falsa e inaccettabile, un asservimento della funzione di legittimità a interessi esterni alla giurisdizione orientati ad imporre un determinato orientamento politico al governo italiano».
Una decisione, quella del Csm, a cui risponde il presidente dei senatori di Forza Italia Maurizio Gasparri (a destra): «Dalla Cassazione sentenza balorda che va dalla parte opposta rispetto alla Ue, se la Cassano vuole ancora intimidirci sappia che con i suoi comunicati dal sapore censorio non ci chiuderà la bocca».
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