Sembrava essere uno scivolone, ma è finito per diventare una bomba. Che non è esplosa solo sulla diplomazia italiana (con il congelamento delle relazioni tra Roma e Parigi, al punto che anche la cena che Giorgia Meloni avrebbe dovuto avere all'Eliseo nelle prossime settimane è in sospeso), ma ha colpito - neanche troppo di striscio - la maggioranza. Con Matteo Salvini sempre prudente (e silente) sulle questioni più critiche per il governo. Ma con i big leghisti che non si tirano indietro davanti alle polemiche.
L'elenco è lungo. C'è il braccio di ferro sulle nomine (con la Rai sottotraccia), ma anche la tensione sulle riforme (la premier ha convocato martedì alla Camera un tavolo con le opposizioni, con buona pace del ministro Roberto Calderoli che aveva annunciato l'approvazione dell'Autonomia «in sei mesi»). Come pure l'incomprensione sulla tenuta parlamentare della maggioranza (l'unico capogruppo che non ha visto con il ministro per i Rapporti con il Parlamento, Luca Ciriani, è il leghista Riccardo Molinari) e la divergenza di vedute sul reddito di cittadinanza (con la leghista Simonetta Matone che non esita a polemizzare sul fatto che il reddito «non è stato abolito» ma, semplicemente, «si chiama in altro modo»). Insomma, incomprensioni a 360 gradi. E ieri si è aperto anche il fronte europeo. Con la maggioranza che all'indomani dell'attacco a freddo del ministro dell'Interno francese, Gérald Darmanin, riesce a dividersi su Marine Le Pen.
Mentre si consuma la crisi diplomatica tra Parigi e Roma - con Meloni decisa a non arretrare a meno che dall'Eliseo non arrivino scuse formali dopo l'aggressione di un ministro che a Palazzo Chigi definiscono «vicinissimo ad Emmanuel Macron» - Fdi, Forza Italia e Lega si scontrano su Le Pen, per Darmanin «amica» di Meloni.
Se il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, dice che il Rassemblement National «non è un buon alleato in Europa» ed è «difficile fare una maggioranza» con Le Pen, dal Carroccio arriva il controcanto. «Noi siamo orgogliosamente amici e alleati di Marine Le Pen, che rappresenta il primo partito di Francia e non insulta l'Italia, il suo governo ed i suoi cittadini», è la replica di Marco Zanni e Marco Campomenosi, presidente del gruppo Id e capo delegazione della Lega all'europarlamento. Da Fdi - che in Europa è nel gruppo dei Conservatori di Ecr e non con Identità e democrazia dove militano Lega, Rn e i l'ultradestra tedesca di Afd - provano a metterci una toppa. «Dividersi su Le Pen fa il gioco dei ministri di Macron che attaccano l'Italia e il problema oggi non è Le Pen ma il governo francese», fanno sapere dal gruppo Fdi che a Bruxelles è guidato da Carlo Fidanza.
Il cortocircuito rientra nel complessivo rapporto conflittuale tra Meloni e Salvini, ma si allarga alla partita delle alleanze europee in vista delle elezioni del 2024,con la Lega che sta cercando di frenare la convergenza verso il Ppe di Fdi e dei Conservatori di cui Meloni è presidente. Una tensione che finisce per relegare in secondo piano il tentativo maldestro di Parigi di gettare acqua sul fuoco. Che la premier francese Elisabeth Borne auspichi «un dialogo pacifico» con l'Italia, infatti, è poca cosa rispetto all'aggressione di giovedì.
Anche perché, almeno pubblicamente, Palazzo Chigi invoca scuse formali. Che potrebbero non arrivare. Perché a Bruxelles si sussurra che l'affondo d Darmanin sia stato concordato con l'Eliseo. Non tanto per il dialogo aperto dall'Italia con il generale libico Khalifa Haftar.
Quanto perché la Francia - come la Germania - ci accusa di non aver presentato una proposta per far fronte all'annosa questione dei migranti secondari. È per questo che sia Parigi che Berlino danno per scontato che il Consiglio europeo del 29 e 30 giugno - su cui Roma riponeva grandi aspettative proprio sul fronte immigrazione - finirà in un nulla di fatto.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.