In crisi di identità alla prova del voto

Definire se stessi attraverso la rete delle proprie relazioni. È un concetto che sarebbe piaciuto a Freud e a Platone, ma che pare stia portando il più importante partito della sinistra italiana sull'orlo della scissione

In crisi di identità alla prova del voto

Definire se stessi attraverso la rete delle proprie relazioni. È un concetto che sarebbe piaciuto a Freud e a Platone, ma che pare stia portando il più importante partito della sinistra italiana sull'orlo della scissione, nella vigilia troppo lunga di un congresso troppo lontano rispetto al trauma del voto. Cominciamo dalle alleanze. Tra poco vanno alle urne due regioni importanti, Lazio e Lombardia, e il Pd si trova già con il fiatone rispetto al situazionismo (sì quello di Guy Debord) pragmatico e anche un po' machiavellico del duo Renzi-Calenda. Se con lo stesso situazionismo si fosse sposata la candidata del Terzo polo, la Moratti, magari, chissà, si mandavano in tilt gli avversari nella Padania presunta felix. Invece, mentre prevale la logica di appartenenza, un nome forte ancora non c'è. Nel Lazio il duo meravigliao è stato più subdolo, ha puntato su un assessore bravo della giunta Zingaretti, quel D'Amato che si fece amare per vaccini. Che fare? Darla vinta ai transfughi movimentisti o ri-fare l'alleanza con i grillini? A Roma, casa sua in senso politico, c'è l'attivismo di Bettini che non ha mai superato la nostalgia per il Conte perduto, che però intanto ha ritrovato se stesso più a sinistra dei vecchi compagni, di viaggio se non in senso assoluto. E qui viene il dramma dell'identità, quantomeno sdoppiata se definita in rapporto agli altri. Ma rispetto a se stessi, alla propria storia? C'è chi dice che la fusione tra post comunisti e democristiani della Margherita ha fatto il suo tempo e spinge per la pratica molecolare più oliata da quelle parti, la scissione. C'è chi dice che quella fusione ha portato al successo nelle borghesie metropolitane ma ha lasciato ultimi e invisibili ai populisti, ora con l'incubo del sorpasso del neo laburista avvocato del popolo. Allora ecco la ricetta di sindaci e governatori, il partito del territorio e dell'ascolto, dal pesarese Ricci al fiorentino Nardella, meglio il primo che ci ha risparmiato l'ennesimo tomo alla ricerca dell'Io perduto.

Dal laboratorio dell'Emilia Romagna arrivano due candidati, Presidente e vice, così vicini, così lontani: l'astuto, pragmatico e inclusivo Bonaccini, contro la linea Letta, e la fortemente identitaria specie sul piano dei diritti Schlein, sulla linea del segretario uscente. Ce n'è abbastanza per andare dallo strizzacervelli e riesumare il divo Giulio: il potere logora chi non ce l'ha, specie se lo ha perso da poco.

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