Il Csm stanga la giudice Saguto Ma le toghe complici se la cavano

Via funzioni e stipendio al magistrato indagato che gestiva i beni mafiosi. Giusto, ma nessuno colpisce chi doveva controllarla

Il Csm stanga la giudice Saguto Ma le toghe complici se la cavano

La decisione del Csm, di una durezza inusitata per il tribunale delle toghe di solito indulgente con i colleghi, era scontata. Silvana Saguto, l'ex presidente della sezione Misure di prevenzione del Tribunale di Palermo accusata di abuso d'ufficio e corruzione nella gestione dei beni sequestrati ai boss, è stata sospesa dalle funzioni di magistrato e dallo stipendio. Niente trasferimento ad altra sede (lei aveva chiesto Catania e Milano), niente presunzione di innocenza per lei nonostante l'inchiesta in corso a Caltanissetta (la procura competente per i magistrati di Palermo) sia ancora nella fase preliminare. Per il Csm «il danno» causato dalla Saguto, sino a pochi mesi fa simbolo della lotta alla mafia tanto che le era stata pure rafforzata la scorta, ha causato una «perdita di prestigio irrimediabile» alla categoria: «Si tratta di fatti talmente gravi – scrive il Csm – da essere incompatibili con l'esercizio delle funzioni anche perché la credibilità del magistrato appare menomata al punto da pregiudicare la necessaria fiducia che i cittadini devono riporre nei suoi confronti». Ergo, la Saguto va cacciata via, subito. Unico paracadute, un assegno di mantenimento pari a un terzo dello stipendio mensile.

Et voilà , il mostro è servito. Alla Saguto due giorni fa è arrivata persino la visita fiscale, perché da quando a metà settembre è esploso il caso è in malattia. Intendiamoci. Le accuse alla giudice (la gestione dei beni sequestrati «per il conseguimento – scrive il Csm – di utilità personali»; le consulenze al marito procurate dall'amministratore giudiziario pure indagato che con gli incarichi ricevuti ha incamerato parcelle milionarie; irregolarità spicciole quali la scorta usata per andare in profumeria o in tintoria), sono gravi e note. Come note sono le parole sprezzanti, intercettate, sui figli di Borsellino, che forse alla Saguto sono costate più dei presunti reati. Ma qualche domanda resta. Come è potuto accadere? Come è possibile che un giudice come la Saguto, in una sezione delicata come quella della gestione dei beni mafiosi addirittura dal 1994, abbia potuto mettere su un «cerchio magico» come quello delineato dai pm? Nessuno si è accorto di nulla? Nemmeno quelli che in teoria sono stati suoi «capi» (l'autonomia dei magistrati non prevede degli effettivi superiori gerarchici), cioè i presidenti del Tribunale di Palermo che si sono succeduti in 21 anni?

Misteri di una giustizia che a furia di autodifendersi da qualsiasi riforma non vede neppure quello che accade sotto il suo naso. Altri quattro magistrati coinvolti a vario titolo in questa storiaccia in toga - l'ex Csm Tommaso Virga, il cui figlio, Walter, ha avuto un incarico di amministratore giudiziario; due giudici della sezione misure di prevenzione, Lorenzo Chiaramonte e Fabio Licata, ora trasferiti ad altra sezione, e un pm, Dario Scaletta - si proclamano innocenti e con loro il Csm, probabilmente, sarà più benevolo accogliendo la richiesta di trasferimento. Chiaramonte e Licata sono stati ascoltati dal tribunale delle toghe proprio ieri, e hanno anche difeso la correttezza dell'operato della sezione nella rotazione degli incarichi tra gli amministratori giudiziari. La Saguto insiste: non sono corrotta. Il suo avvocato, Giulia Bongiorno, che la difende con l'avvocato Ninni Reina, parla di «gravi errori» e annuncia ricorso contro il provvedimento disciplinare alle sezioni unite della Cassazione.

A riprova della sua estraneità alle accuse, la giudice rimarca la difficile situazione economica della sua famiglia, riconosciuta dallo stesso Csm al punto da negare il trasferimento perché potrebbe reiterare i (presunti) reati. «Non ho preso un euro», ripete la Saguto. Ma il Csm, nell'affannosa corsa a chiudere questa storia che ha gettato ombre pesanti sulla giustizia e sull'antimafia militante, non le ha creduto.

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