Ad attribuirgli la fama del «ganassa» - termine milanese vagamente traducibile con una via di mezzo tra «snob» e «spaccone» - hanno contribuito alcuni vezzi inimitabili, ma purtroppo imitatissimi, tipo portare la cravatta sul pullover e l'orologio sopra al polsino della camicia. Per il resto Giovanni Agnelli detto Gianni, l'Avvocato per antonomasia, aveva una sola grande ossessione: essere diverso dagli altri, l'unico depositario di un'autentica regalità in mezzo a molti, troppi lacchè. «Mettigli un elmo in testa e mettilo a cavallo: ha la faccia di un re» diceva infatti Fellini affascinato, come tutti, dal carisma di questo grande borghese che in mezzo a tutto era figlio di una principessa Virginia di Bourbon del Monte dei principi di San Faustino oltre ad averne sposata una con Marella Caracciolo di Castagneto. Sembra che nessuna delle due donne abbia avuto alcuna influenza sul suo stile. Su questo sono intervenuti in due. La prima è stata Miss Parker, l'istitutrice che in «Vestivamo alla marinara» sgrida lui e i suoi fratelli con la frase «Don't forget you are an Agnelli» che ai poveri bambini esiliati nella villa di Forte dei Marmi doveva suonare minacciosa come «Ci rivediamo a Filippi». Il secondo è stato Brunetto, l'ineffabile maggiordomo che è stato al suo servizio fino alla fine. Era lui a occuparsi del guardaroba dell'Avvocato. Ordinava gli abiti su misura in sartoria da Tommy & Giulio Caraceni a Roma, le camicie botton down da Brook's Brothers, i pullover in cashmere da Ballantyne per uso personale e da Drumhor per i regali di Natale agli amici più cari. A fargli conoscere lo storico marchio di maglieria inglese, famoso nel mondo per il motivo «razor blade», fu negli anni Settanta Ruggero Hart, amico e compagno d'armi dell'Avvocato, nonché importatore di Drumhor in Italia. Nel ringraziarlo per il pullover Gianni Agnelli gli disse che la fantasia somigliava a una distesa di biscotti Pavesini. Da quel momento «razor blade» divenne «biscottino» perfino per i clienti giapponesi, che avrebbero dato un occhio per poter comprare gli stessi accostamenti di colore realizzati in esclusiva per gli amici del proprietario della Fiat. «L'eleganza dell'Avvocato faceva rima con stravaganza solo quando nascondeva una reale utilità» sostiene un profondo conoscitore di Casa Agnelli citando ad esempio la mania delle scarpe sportive a polacchino portate anche con gli abiti formali per sostenere la gamba malata. Proprio per questo, quando sciava, doveva portare un tutore ma lo metteva sopra ai jeans fatti fare su misura in sartoria perché quelli normali gli facevano orrore. Ancor più bella la storia della 131 Fiat familiare con un'enorme cesta di vimini sul tetto. L'aveva fatta fare da un bravissimo cestaio torinese per poter trasportare gli sci senza prendersi il disturbo di legarli al portapacchi. Se la macchina era parcheggiata nei pressi del parco della Maddalena voleva dire che l'Avvocato era in giro con i suoi cani, gli adorati siberian husky che per primo fece arrivare in Italia. Il capostipite del branco si chiamava Dyedeyes (occhi tinti) un esemplare stupendo con un occhio azzurro e uno nero, come Alessandro Magno. Pare abbia amato moltissimo anche Ottantotto, l'unico cane al mondo amante dei profumi.
Del resto proprio nel 1988, anno famoso per una doppia eclissi di sole, Agnelli si era fatto fare un profumo su misura da Laura Bosetti Tonatto, il celebre naso torinese da cui oggi si riforniscono perfino la regina Elisabetta e il re dell'Arabia Saudita. Più noblesse oblige di così...- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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