Dalla decrescita al Jobs Act programmi incompatibili

di Francesco Forte

I 5 Stelle, avendo fatto il pieno di voti nell'Italia meridionale e dintorni con la proposta del reddito di cittadinanza, che ricorda la politica assistenzialista di Achille Lauro, che nel dopoguerra regalava la scarpa sinistra a chi lo avrebbe votato per dargli poi la scarpa destra se lo aveva fatto, ora cercano disperatamente due alleanze impossibili, su cui il Financial Times si sofferma, dando loro un credito che non hanno. La prima alleanza è quella assurda con la Lega, che - come ha ben spiegato Marcello Zacché - è un partito radicato nelle regioni del Nord che producono, esportano, investono e consumano, che vuole diffondere la sua ricetta al Sud, assieme ai moderati del centrodestra. L'altra alleanza dei 5 stelle sarebbe quella grottesca con il Pd, partito già comunista o cattocomunista che - appoggiandosi alle sue cooperative e alle sue organizzazioni non profit - si è faticosamente inserito nel filone socialdemocratico europeo. Il Pd, con le simpatie del Gotha bancario italiano e della sinistra alla crema, da qualche anno ha cercato di imitare i democratici americani, mediante programmi sul lavoro e la crescita ispirati, in gran parte - ma non solo - da economisti bocconiani. La miscela fra socialdemocrazia e le innovazioni di vario conio ha dato vita al Jobs Act in cui campeggiano il contratto a tempo indeterminato senza più articolo 18 e quello a tempo determinato. Il nuovo Pd ha ripudiato la storica alleanza con la Cgil ma non ha dato spazio ai sindacati liberi. Tutto ciò gli ha generato traumi. Altri traumi le ha causati il referendum sulla riforma costituzionale. Con tutto questo, si sono esasperate le rivalità interne fra post comunisti, ex democristiani di sinistra, ex magistrati giustizialisti tipo de Magistris ed Emiliano diventati politici ed ex sessantottini diventati cauti riformisti tipo Gentiloni. Ma, pur con le scissioni e i dissensi interni che covano sotto sotto, il PD, nelle sue varie versioni, rimane pur sempre un partito che ha radici nel mondo del lavoro, inserito nell'establishment dei partiti socialdemocratici socialisti riformisti e laburisti europei, tutti comunque in crisi. È, dunque, un partito per il cui elettorato al primo posto ci sono il Pil e l'occupazione e solo al secondo, come ripiego, oltre al sussidio di disoccupazione, c'è il reddito di inclusione per un possibile inserimento nel mondo del lavoro. I 5 Stelle hanno nella decrescita felice, assieme al reddito di cittadinanza, il loro asso di picche.

I 5 Stelle sono un partito eterodiretto dalla comunicazione in rete, contro la classe politica, mentre il Pd è un partito di professionisti della politica e di organizzazioni collaterali operative, come in genere i partiti socialdemocratici e (ancor più) i parti ex comunisti e cattocomunisti. Solo se il Pd ha raggiunto lo stadio del cupio dissolvi, può mettersi con Di Maio.

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