Dietro la trattativa c'è la Turchia di Erdogan

Per riaverle dovremo non solo pagare un prezzo assai salato, ma anche ringraziare la Turchia di Recep Tayyip Erdogan

Dietro la trattativa c'è la Turchia di Erdogan

Rassegniamoci. Per riaverle dovremo non solo pagare un prezzo assai salato, ma anche ringraziare la Turchia di Recep Tayyip Erdogan. Una Turchia che da una parte tratta il prezzo del riscatto per nostro conto e dall'altra è, da sempre, la chioccia premurosa di Jabat al-Nusra, il gruppo qaidista che ieri ha diffuso il primo video di Greta Ramelli e Vanessa Marzullo rivendicandone ufficialmente il rapimento. Se il ruolo di Ankara non vi è chiaro fate attenzione a quel 17/12/14 scritto a pennarello sul foglio tenuto da Vanessa Marzullo. Stando alla data il video, arrivato dopo cinque mesi di totale silenzio, è stato girato sei giorni dopo il premuroso pellegrinaggio del nostro premier Matteo Renzi a Istanbul e Ankara. Un pellegrinaggio durante il quale il Presidente del Consiglio tratta Erdogan come il migliore degli alleati e gli promette ampio sostegno per facilitare i negoziati tra Ankara e la Ue, ma sorvola sulle ambiguità di un «sultano» sospettato di aver alimentato l'insurrezione jihadista in Siria.

Ora tutto è più chiaro. La parte non ufficiale del viaggio di Renzi comprendeva il suggello della trattativa per la liberazione delle due apprendiste-cooperanti rapite il 31 luglio scorso. Che i servizi segreti turchi fossero un tassello indispensabile per entrare in contatto con i rapitori e negoziare un riscatto era chiaro. Il villaggio di Abzimo, dove le due sono state prelevate, è uno dei punti di passaggio per i ribelli siriani che muovono dai santuari in territorio turco verso l'interno della provincia di Aleppo. E tutto quel che succede nella zona è attentamente monitorato dal Mit, l'agenzia d'intelligence turca responsabile del coordinamento dei ribelli. Quindi quando Greta legge il messaggio e supplica «il nostro governo e i suoi mediatori» di riportarle a casa prima di Natale cita implicitamente il «conquibus» richiesto dagli emissari turchi. Quel video di soli 23 secondi girato il 17 dicembre, ma diffuso 15 giorni dopo, fa però capire che la trattativa sul prezzo risente di un doppio intoppo. Un intoppo che sulle prima sembra superato, tanto da indurre i rapitori a non diffondere il filmato, ma si ripresenta irrisolto a fine dicembre bloccando nuovamente il negoziato e spingendo i sequestratori a pubblicare il video.

In questo intreccio di date s'inserisce anche la misteriosa vicenda di Blue Sky, il mercantile moldavo con a bordo 786 profughi siriani imbarcati, guarda caso, in un porto della Turchia «all'insaputa» delle autorità di Ankara e spediti il 31 dicembre verso le coste della Puglia. Un episodio apparentemente molto simile ai metodi usati a suo tempo dal Colonnello Gheddafi per ricordarci o imporci patti e accordi di buon vicinato. L'altro grande mistero strettamente legato al ruolo di Ankara è la rivendicazione del rapimento in concomitanza con la diffusione del video. Una concomitanza che i nostri servizi, solitamente assai «abbottonati», riconoscono esser collegata ad una fase delicatissima della trattativa. Solitamente Jabat al-Nusra, riconosciuta dal capo di Al Qaida Ayman al-Zawahiri come la costola siriana dell'organizzazione terroristica, rivendica immediatamente i sequestri e cela la richiesta di riscatto dietro motivazioni politico-religiose. Stavolta la rivendicazione arriva dopo cinque mesi, mentre il video punta esclusivamente all'ottenimento del riscatto richiesto.

Dietro il lungo silenzio di un gruppo considerato, nonostante l'esplicita affiliazione qaidista, come uno dei favoriti di Ankara, c'è tutta l'ambiguità di una Turchia che solo lo scorso giugno ha ceduto alle pressione statunitensi accettando d'inserire Jabat al-Nusra nelle liste dei gruppi terroristi. L'inserimento - pur non cambiando i rapporti sul terreno - ha indotto l'intelligence turca a pretendere maggior discrezione dagli inconfessabili «protetti».

Soprattutto se gli emissari di Ankara devono contattarli per trattare un riscatto da far poi pagare ad un'Italia membro - come la Turchia - dell'Alleanza Atlantica. E così anche la tardiva e poco «garbata» rivendicazione di Jabat al-Nusra va letta come un modo per premere sulla Turchia. E costringerci a sborsare molti più soldi di quanto vorremmo.

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