Il dominio infinito dei Pm sulla politica

Il dominio infinito dei Pm sulla politica

Qualcuno lo dice in modo esplicito, altri a mezza bocca, qualcuno nega, mentendo, altri mentono proprio, qualcuno si schernisce ma lo fa rabbrividendo. Tangentopoli, dunque, non è mai finita? Anzi è tornata e oscilla sempre più minacciosa come un pendolo della morte sul nuovo sistema politico di potere in Italia oggi, quello della Lega e del suo leader, Matteo Salvini? Come si fa a mettere in relazione la «gloriosa» corruzione degli anni '80 e '90, la maxitangente Enimont e l'altrettanto in-gloriosa fine della Prima repubblica, con bustarelle e consulenze che sommate sono meno di quanto evade in un anno un solo furbastro medio italiano?

Sarà, ma a me l'inchiesta lombarda sulla corruzione, che ha messo nei guai esponenti politici di Forza Italia e del Carroccio, e che punta minacciosa verso i vertici del Pirellone, ricorda per modi e tempi un riflesso condizionato che scandisce e determina la nostra democrazia dal 1992, anno di grazia dell'eroismo della Procura di Milano e della fine della Dc. È il dominio del Giudiziario sul Politico, come dice il grande filosofo sloveno Zizek, il vero virus delle democrazie occidentali. Attenzione, non si parla schematicamente della giustizia che tiene sotto scacco e ricatto la politica. Il Giudiziario e il Politico sono qui due sistemi narrativi, due brand del potere, e come tutti i sistemi narrativi sono organizzati in racconti di simboli, uomini, visioni del mondo, antropologie.

Lo squilibrio delle due narrazioni rende sempre più arrogante e impunito il sistema giudiziario, e sempre meno autonomo e coraggioso il sistema politico, che ha agende, prospettive, leader sempre da rifare. Soprattutto il Politico, inteso come campo semantico di riferimento della vita pubblica, perde credibilità sempre di più con i cittadini, che allora si affidano al mainstream anti-casta come a un mantra che lavi la loro rabbia e la loro frustrazione. Tradotto: perché ho votato quello lì che ruba o quantomeno fa solo gli interessi suoi e non i miei? Il populismo, inteso come ricetta moralistica e leadership violenta di chi ripara il gap del meccanismo rappresentativo (ci penso io a te in modo diretto, caro popolo mio), è proprio figlio di questa delusione della mediazione democratica di tipo elettivo. Il movimento che con il web ha proposto la fine della democrazia elettiva con il sogno della iperdemocrazia internettiana, come si chiama? Il movimento che oggi ritorna più forte grazie alle inchieste che riguardano gli altri, come si chiama? Per alcuni, ma qui siamo già al complotto, ci sarebbe una goethiana affinità elettiva tra un signore che in quella Procura (quella di Tangentopoli) c'era, Piercamillo Davigo, e nuovi riferimenti culturali, la base grillina e il giustizialismo travagliesco.

Se il complotto c'è, la vittima perfetta è lui, Salvini, ed era da tempo, almeno dal 2011, dagli ultimi mesi del governo Berlusconi disarcionato in modo illegale, questa almeno è storia, che non si avvertiva una cattiveria concentrica cosi pervasiva e inarrestabile. Troppo violento il clima su di lui, al di là dei suoi errori. La critica politica è una cosa, la costruzione del Cattivo Perfetto è un'altra. Una costruzione molto pericolosa, diciamo così. Infatti la parola corruzione è in bocca all'alleato Di Maio per zittire la Lega su tutto: autonomia, migranti, sicurezza, grandi opere, famiglia. La tesi è questa, il Carroccio popone una grande metonimia politica, scambio retorico della causa per l'effetto, per distrarre l'attenzione dai propri guai.

Se l'inchiesta lombarda va avanti e si aggrava, Salvini è destinato all'immobilismo o ad accettare, più che un contratto co-firmato, l'ordine del giorno della visione grillina. Torniamo allora al tema iniziale: Tangentopoli non è mai finita non tanto per il suo oggetto, la corruzione. Quella c'era e c'è ancora, e va combattuta, senza scorciatoie filosofiche che dipingono l'animo umano naturaliter incline alla delinquenza. Per gli uomini tutti e per i politici valgono le regole morali universali e quelle della buona e corretta amministrazione della cosa pubblica.

Ma Tangentopoli non è mai finita anche, e soprattutto, per il sistema narrativo che ne è alla base, a prescindere da singoli oggetti o avversari da sacrificare di volta in volta. Il significante giudiziario, diremmo alla Lacan, che vede se stesso come unica via al Potere.

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