Giuseppi ed i dpcm, spesso e volentieri in terza serata, una storia d'amore di smodato protagonismo che va avanti da quasi un anno. Con la crisi di governo in atto e con il sedicente avvocato del popolo alla disperata ricerca di quelli che sono stati ribattezzati in modo eccessivamente aulico come "responsabili" per potersi tenere attaccato alla poltrona, già partono i cori di allarmismo con catastrofiche previsioni nel caso in cui l'esecutivo non riuscisse a mettere una pezza. In caso di crollo del Giuseppi II e di mancato approdo verso un Giuseppi III si parla di imprese che resteranno senza bonus o salvagenti, della partenza di 50 milioni di cartelle esattoriali e chi più ne ha più nè metta, mancano solo le piaghe d'Egitto.
La realtà, tuttavia, è ben diversa, come spiega in una intervista alla Verità, Mario Giordano, ordinario di diritto costituzionale a Salerno e docente alla Luiss. Davvero se Conte non riuscisse ad ottenere le stampelle per continuare a claudicare fino alla fine del mandato si bloccherebbe tutto? L'esperto spiega che è innanzitutto necessario aspettare per comprendere se in effetti questi segnali di crisi porteranno Conte a fallire nella verifica alle camere. Se ciò dovesse accadere, comunque, l'esecutivo"resta in carica per il disbrigo degli affari correnti, conservando la natura di organo politico. Non è una mera articolazione amministrativa. Resta insomma, in ogni caso un organo di indirizzo politico: il che comporta che, in una situazione di grave emergenza sanitaria e socioeconomica gli affari correnti attengono proprio alla gestione di tale stato delle cose".
Pare evidente, spiega Giordano, che il governo stia utilizzando lo spauracchio di una improvvisa cessazione delle attività di sostegno economico e sanitario per restare ancora al timone del Paese. Tuttavia, ciò che non viene detto è che"sarebbe in contrasto con la Costituzione interrompere le misure di sostegno e i bonus in caso di crisi di governo perché sono l'altra stampella delle misure contenitive. La Costituzione impone che il diritto alla salute vada salvaguardato in parallelo rispetto col diritto al lavoro e alla libertà d'impresa. Dunque i provvedimenti anti pandemici non posso essere scissi". Tra l'altro proprio il governo ha spesso diffuso nella gente l'idea che le misure economiche vengano adottate proprio per controbilanciare i danni portati dalle misure sanitarie."Motivo in più per considerarle saldamente connesse".
A fine aprile scadrà lo stato di emergenza. Sarebbe possibile prorogarlo con un governo ancora in sella ma oramai dimissionario? "Ritengo di sì e a ciò dovrebbe provvedere mediante un decreto legge da sottoporre ovviamente al Parlamento", spiega Giordano. "Salvo che il perdurare della crisi, per l'accertata impossibilità di formare un nuovo governo, non induca il presidente della Repubblica ad allestire un cabinet de combat ovvero un governo tecnico di salute pubblica, con o senza maggioranza precostituita".
A questo punto, tuttavia, proprio dal punto di vista costituzionale insorgerebbe un problema enorme. "Le sembra normale che non ci si debba interrogare su uno stato d'emergenza che dura da più di un anno? La pandemia andrebbe affrontata con gli strumenti ordinari propri della nostra forma di governo parlamentare". Un abuso bello e buono insomma, così definito senza giri di parole. Tutto normale se la situazione emergenziale e di gestione straordinaria della cosa pubblica fosse durata per breve tempo. Ma qui si parla di abusi belli e buoni, con un "depotenziamento delle sedi istituzionali pensate per interventi sanitari o di sicurezza nazionale. Non a caso abbiamo assistito anche a una intensificazione dell'uso dei dpcm e poi dei decreti d'urgenza e dei cdm notturni, anche questi anomali a fronte del principio di trasparenza democratica", puntualizza Giordano."Il tutto porta a dire che il governo si è trasformato in una sorta di premierato atipico che cozza con l'articolo 93 della Costituzione, secondo cui il presidente del Consiglio è solo un primus inter pares". Evidentemente Giuseppi si considera molto di più, e ne ha dato abbondantemente prova in questi mesi di potere accentrato nelle sue mani con l'esautorazione del parlamento. Un discorso che si può estendere, oltre ai Dpcm, anche al Recovery Fund. "Anche l'amministrazione dei budget pubblici è prevista tramite strutture incardinate nella nostra storia repubblicana. Il Recovery plan non è altro che emissione di debito pubblico, sebbene sia stato descritto come un insieme di elargizioni". Una differenza sostanziale, basta cambiare dinanzi all'opinione pubblica il nome con cui definire le cose. Anche il Recovery Fund, pertanto, "va gestito esattamente come il bilancio dello Stato.
Sbagliato costruire sovrastrutture che rispondono a logiche di sola natura economica, le quali poi non rendono conto alla filiera del governo e del parlamento". Il rischio di eccessivi accentramenti e di deriva è già stato raggiunto, bisognerebbe intervenire per limitarlo prima di eccedere ulteriormente.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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