Dopo l'ok in Consiglio dei ministri c'è lo scoglio del voto in Parlamento per il Piano nazionale di ripresa e resilienza che il presidente del Consiglio Mario Draghi spedirà in Europa il 30 aprile. Un passaggio che non preoccupa per i numeri. Ma non manca il malcontento, anche tra le file della maggioranza, per i tempi strettissimi per esaminare il pacchetto di interventi e riforme. «Capisco le polemiche e le critiche, ma dopo tutte le sofferenze che abbiamo vissuto la politica deve trovare orgoglio per un piano mai visto nella storia dell'Unione. E noi dobbiamo dimostrare di essere all'altezza», osserva il sottosegretario agli Affari europei, Enzo Amendola. Sarà il premier Draghi a illustrare oggi pomeriggio in Aula di Montecitorio il Pnrr. Seguirà poi il dibattito e domani mattina è atteso il voto sulle risoluzioni. Nel pomeriggio, poi, Draghi sarà al Senato. Ieri il testo è stato trasmesso alle Camere e pubblicato sul sito. I partiti hanno trascorso la domenica a verificare tabelle e schede del piano. Resta aperto il nodo della governance che sta prendendo forma: ci sarà una responsabilità diretta dei ministeri e delle amministrazioni locali. Il ministero dell'Economia e delle Finanze monitora e controlla il progresso nell'attuazione di riforme e investimenti e funge da unico punto di contatto con la Commissione Europea. Tra i dossier su cui è ancora aperto il confronto quelli relativi ai capitoli di fisco e concorrenza. Nella giornata di ieri i vertici di Forza Italia, con ministri, sottosegretari e governatori, azzurri, si sono riuniti in videoconferenza per esaminare il testo definitivo del Pnrr in vista del dibattito parlamentare. «La proposta del governo di Mario Draghi- dicono è incommensurabilmente superiore a quella cui aveva lavorato il governo di Giuseppe Conte. L'autorevolezza del presidente del consiglio ha consentito di difendere a rafforzare l'Italia con la Ue. C'è il cambio di passo che auspicavamo quando abbiamo suggerito per primi, con il presidente Silvio Berlusconi, un governo di unità nazionale. Siamo soddisfatti che siano state accolte molte nostre proposte: tra queste non solo l'estensione del Superbonus 110%, ma, soprattutto, la riforma della pubblica amministrazione, le semplificazioni e una attenzione particolare a Sud e infanzia. Si poteva fare meglio su infrastrutture, come il Ponte sullo Stretto, e su sanità, con la medicina di prossimità. Non accetteremo nuove tasse sulla casa e patrimoniali. Vigileremo che il Piano venga applicato senza perdere tempo e sulla sua governance».
Il sostegno a Draghi sarà quasi unanime. Dai banchi dell'opposizione la leader di Fratelli d'Italia Giorgia Meloni protesta. Sul piano di riforme, dalla giustizia alla pubblica amministrazione, su cui l'Europa concede i 221,5 miliardi del Recovery plan all'Italia c'è la garanzia del presidente del Consiglio Mario Draghi che ipoteca tutta la credibilità conquistata negli 8 anni alla guida della Bce. Se fallisce il piano di riforme, fallisce Draghi. E se quest'ultima appare una narrazione abbastanza scontata, ora le forze politiche si interrogano sul pericolo scampato: se a Palazzo Chigi fosse rimasto Giuseppe Conte l'Italia oggi sarebbe senza il via libera dell'Ue al Pnrr? Uno scenario concreto.
Il primo a infilare il dito nella piaga dei sostenitori del Conte o morte, è il sindaco di Bergamo Giorgio Gori: «A giudicare la fatica che Draghi ha fatto per ottenere il via libera dall'Europa sul Pnrr, si capisce una cosa: che con quello di Conte non avremmo mai superato l'esame», ironizza su Twitter.
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