Due anni in stato di emergenza possono bastare

Un anno di errori giallorossi. Poi il cambio di paradigma con Draghi: la campagna vaccinale, il "rischio ragionato" e le riaperture. Ma per Bassetti ancora non basta: "Dobbiamo uscire da questa fase"

Due anni in stato di emergenza possono bastare

Due anni vissuti sull’ottovolante. Due anni che sembrano quattro, quasi il tempo si fosse dilatato riempiendo gli spazi di coronavirus. Il Covid che sorge in Cina a gennaio, che approda in Italia con due turisti asiatici, che ci travolge a Codogno. Il virus che "è come una semplice influenza", no uccide, "andrà tutto bene", anzi dobbiamo scegliere chi curare in terapia intensiva, però le discoteche teniamole aperte. Tutto questo, a partire dal 31 gennaio 2020, è riassumibile in tre parole: stato di emergenza. Quello dichiarato dall'allora governo Conte, al tempo presentato come provvisorio, poi rinnovato sine die fino ad oggi (ben oltre i due anni limite previsti dalla legge per le situazioni eccezionali) e che il governo Draghi potrebbe togliere il prossimo 31 marzo.

Il punto è che lo "stato di emergenza" è servito a coprire, soprattutto durante la gestione giallorossa dell'emergenza, ritardi, errori ed omissioni. Scivoloni della politica, tutta, e in particolare di quella di governo. A fare l'elenco si finirebbe col proporre una lista della spesa infinita: il mancato aggiornamento del piano pandemico, la sua illogica non applicazione, la rincorsa per scrivere un piano d'azione nuovo di zecca e subito vecchio. Errori degli scienziati, che poi si sono riversati nel Paese reale: il Cts che prima considera il coronavirus alla stregua di un malanno di stagione, che emette bollettini sui contagi incomprensibili, che chiede di limitare i tamponi, poi di farli a tutti, infine di ridurli di nuovo. Per non parlare delle liti tra virologi star, che hanno raccontato tutto e il suo contrario. Oppure la circolare di Roberto Speranza che ha impedito alla comunità scientifica di stanare il morbo prima e ha costretto la dottoressa Annalisa Malara a infrangere il protocollo per poter diagnosticare la malattia al paziente 0. Oppure la mancata zona rossa in Val Seriana, con i soldati inviati a Nembro e Alzano e dopo tre giorni fatti rientrare senza aver blindato l'area. E ancora: il caos delle mascherine di Domenico Arcuri, i soldi buttati al vento, i dispositivi di protezione spediti in Cina da Luigi Di Maio quando sapevamo di averne bisogno come il pane in caso di contagio. Oppure i bonus monopattini, i banchi a rotelle di Lucia Azzolina e lotteria degli scontrini.

Serve altro? Lo "stato di emergenza", di cui oggi festeggiamo il secondo anniversario, è stata una cappa che in più di un'occasione ha fatto sentire gli italiani imbrigliati a regole eccessive. L'anno scorso il ministro della Salute Roberto Speranza aveva anche trovato il tempo per scrivere un libro in cui ci spiegava Perché guariremo, salvo poi farlo sparire dalle librerie e condannarci a un nuovo lockdown. L'estate del 2020 avremmo forse potuto tracciare il virus evitando la recrudescenza autunnale, invece ci siamo ritrovati senza monitoraggio e con nuove restrizioni. Il motto: chiudere tutto perché non si era in grado di fare altrimenti. E quindi di nuovo didattica a distanza, lavoro agile, limitazioni, zone rosse, arancioni, gialle, bianche. Regole che sono cambiate in continuazione: la corsetta dietro casa sì, il cane pure, i congiunti sì ma gli amici fraterni no. Durante l'emergenza Covid siamo diventati "la Repubblica delle Faq" coi cittadini obbligati a scartabellare le domande e risposte con cui il governo spiegava (e spiega) gli incomprensibili Dpcm e gli intraducibili decreti.

Poi è arrivato il premier Mario Draghi e con lui le riaperture, i "rischi ragionati" e soprattutto la campagna vaccinale. Arcuri ha lasciato il posto al generale Francesco Paolo Figliuolo. Il vecchio Cts ha lasciato il posto al nuovo gruppo di esperti (si è giusto salvato il cerchio magico di Speranza). Lo Stato di emergenza è, però, rimasto sempre lì. E così, a distanza di due anni da quando è scoppiata la pandemia, in molti si chiedono: serve ancora? Se dura due anni non è più emergenza ma un problema da risolvere con strumenti ordinari. Negli ultimi mesi si è probabilmente trattato più di una questione burocratica: per conservare la struttura commissariale e non doversi rimettere lì a riscrivere i decreti in scadenza "alla fine dello Stato di emergenza". Eppure sembra che finalmente possiamo intravedere la luce in fondo. Ne è per esempio cautamente convinto il sottosegretario alla Salute, Pierpaolo Sileri. "Siamo in quella fase di transizione del virus da pandemia a endemia", ha spiegato oggi a TimeLine su Sky Tg24 facendo notare che la combinazione tra vaccino e variante Omicron, che "arreca un danno minore rispetto al virus originario", consentirà di convivere con il virus e passare dallo stato di emergenza all'ordinario. "Significa - ha chiosato - andare a rimuovere progressivamente quelle limitazioni che sono state imposte".

Se per Sileri il 2022 è "l'anno decisivo" per togliere le restrizioni. Potrebbe essere già il 31 marzo quando appunto scade lo stato di emergenza. Per Matteo Bassetti bisogna avere più coraggio e intervenire quanto prima. Esattamente come annunciato questa mattina dalla Danimarca. "Vorrei che si passasse dalla fase in cui ci si riempie la bocca sulla convivenza con il virus a quello in cui lo si fa veramente", ha spiegato all'Adnkronos Salute. "Perché un Paese che ha una buona parte dei bambini delle scuole elementari in dad, per contatti con un compagno che aveva un raffreddore, non sta convivendo con Covid.

Se io per camminare sul lungomare devo mettermi la mascherina vuol dire che non è una Paese che convive col virus". Togliere definitivamente lo stato di emergenza servirà per cambiare la prospettiva degli italiani.

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