A Codogno, la città fantasma chiusa per virus. "L'unico posto vivo ormai è la farmacia"

Strade e locali quasi deserti

A Codogno, la città fantasma chiusa per virus. "L'unico posto vivo ormai è la farmacia"

nostro inviato a Codogno (Lodi)

«Scrivo da un paese che non esiste più», fu il formidabile attacco del pezzo scritto da Giampaolo Pansa il giorno del crollo della diga del Vajont, il 9 ottobre del 1963. Tu, più modestamente, scrivi da un paese che esiste ancora ma è vuoto come il frigo di un single. Tutto chiuso a Codogno, nessuno in giro, pochi spettri che si aggirano in quella che è già la Wuhan lodigiana. È sì che è un venerdì tiepido, perfetto in altri momenti per uno spritz in piazza.

Arrivi a Codogno con un treno da Milano Rogoredo, dopo aver «vinto» la lotteria redazionale al contrario ed esserti sentito davvero gonfio di spirito di servizio e poi, subito dopo, esserti sentito raccomandare da decine di colleghi di metterti la mascherina («Mettiti la mascherina! Manda un selfie per dimostrare che l'hai messa davvero!») e ti accorgi che stai facendo qualcosa di strano già prima di partire. Anche l'edicolante della stazione a cui chiedi un biglietto per Codogno, un asiatico simpatico, ti chiede: «Codogno? Sei sicuro? Stai attento!» (dovrai mandare un selfie anche a lui?).

Sul treno non si parla d'altro. «È un giorno bruttissimo, che ci doveva capitare», borbotta Anna. Anche un giovane dai tratti arabi fa una telefonata concitata a qualcuno nella sua lingua in cui si distinguono facilmente le parole «virus» e «Codogno» ripetute più volte. A Codogno scendi assieme a tantissime altre persone, e conti solo due persone con una mascherina su una folla di un centinaio. Scoprirai poi girando per le strade di questa città finora famosa per il Grana (ma basta cambiare il genere ed ecco una bella grana) che gente in giro con le maschere ce n'è davvero poca. E non per sprezzo del pericolo ma semplicemente perché le farmacie locali le hanno finite da un pezzo. «Le abbiamo terminate stamattina, quasi subito, ne avevamo già poche perché la gente già da tempo ne faceva scorta. Le abbiamo riordinate», ci dice Elena della farmacia Navilli. Da ore in quel posto non fanno altro che rispondere alle domande dei concittadini su quello che è stato già ribattezzato Codognovirus. «Siamo il posto più vivo della città», sorride amara l'altra farmacista, Elena anche lei. Tutti i bar sono chiusi, per ordinanza del sindaco Francesco Passerini, leghista. Tutti i luoghi di ritrovo, i negozi no ma in realtà sono pochi quelli aperti perché tanto la gente sta tappata in casa a guardare terrorizzata la tv. Chi va in giro forma piccoli crocchi di persone che stanno ben lontane tra loro e passando ascolti sempre le stesse parole: «Controlli», «contagiato», «quarantena». Fine del mondo no ma di certo quella dell'anonimato, della vita tranquilla da contadini e pendolari. Nulla sarà normale da oggi e nei prossimi giorni: scuole chiuse per ordinanza comunale almeno fino a martedì compreso, sarebbe Carnevale ma chi andrà in giro coi coriandoli in mano? Sono giorni in cui si pensa ad altre maschere. Poi si vedrà. Può un intero paese autoisolarsi dal mondo? Anche gli uffici comunali sono chiusi, il parroco ha annullato la messa della domenica e pure l'ospedale dove è ricoverato M.Y.M., il paziente zero di 38 che nessuno vorrebbe avere incontrato. Pronto soccorso chiuso, avverte un cartello.

Passano i minuti, fa buio e la gente è sempre meno. Strade spettrali. Quattro giovani con sciarpa davanti alla bocca, e non certo per il freddo, si lagnano: «È tutto chiuso, e stasera che si fa? E domani, e dopodomani, e dopo ancora?».

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