Due conflitti lontani, con scenari collegati

Dall'Ucraina al Medioriente. Così si sono cristallizzati gli equilibri tra le grandi potenze

Due conflitti lontani, con scenari collegati
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Solo i ciechi non si rendono conto che c'è una relazione tra il conflitto russo-ucraino e la crisi medio-orientale. Il primo a non nasconderlo è Vladimir Putin che da quando è scoppiata la guerra in Israele ha ripreso fiato. Del resto molti (financo il Papa) hanno descritto questi drammi come i prolegomeni della terza guerra mondiale. Ecco perché è difficile immaginare una pace in Israele se non si individua il filo di un possibile negoziato tra Mosca e Kiev. La ragione è che quel nuovo ordine mondiale di cui molti hanno congetturato, di fatto, si è già instaurato e i due conflitti ne sono stati il volano: da una parte l'Occidente; dagli altri gli «esclusi» che si sono legati al triangolo Cina, Russia e Iran. Più distaccata l'India. Ma non equidistante visto che ci ha tenuto a riaprire allo zar le porte del G20: un segnale inequivocabile.

L'incontro al vertice tra Biden e Xi è servito a ratificare questo stato di cose, a tentare di trovare un equilibrio, una sorta di rete di protezione affinché la situazione non degeneri. Le parole dell'uomo di Pechino sono state esplicative: «Al mondo c'è posto per tutti». Insomma, siamo tornati ad un surrogato sotto altre sembianze della politica dei «blocchi», quella che aveva garantito una pace in bilico, oppure una guerra fredda, nella seconda metà dello secolo scorso.

Di questa condizione dovrebbero rendersi conto, soprattutto, le possibili vittime inconsapevoli dei nuovi equilibri. È successo già ad Hamas e le immagini tragiche di Gaza City lo dimostrano: i suoi miliziani sono stati i servi sciocchi dell'Iran per bloccare l'accordo tra Israele e l'Arabia Saudita e di Putin per distogliere l'attenzione dall'Ucraina. Ora Hamas si ritrova con un pugno di mosche in mano e senza un futuro. Stesso discorso, però, vale per Israele: deve commisurare il sacrosanto obiettivo di eliminare gli esecutori del pogrom jihadista, senza superare quei limiti che la isolerebbero dai suoi alleati. E anche qui c'è già una vittima predestinata: Bernjamin Netanyahu. Infine Volodymyr Zelensky: lui ha un tempo per dare garanzie al suo Paese e a se stesso. Una guerra destinata a non avere vincitori non può durare un altro anno, non può condizionare il voto americano perché favorirebbe di fronte ad un'opinione pubblica stanca il candidato del «disimpegno» (Trump è dietro l'angolo). Ecco perché più delle rivendicazioni territoriali Zelensky dovrebbe preoccuparsi dell'ingresso dell'Ucraina nel blocco occidentale: l'Europa va bene, ancor meglio la Nato.

È l'unico lasciapassare che ha a disposizione per non diventare anche lui una vittima dei nuovi equilibri. Una pace, anche se con le stesse logiche di quarant'anni fa, è pur sempre preferibile alle tragedie di una guerra.

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