Ora il Pd accelera sul nuovo leader

Trovato l'accordo per le primarie a fine gennaio, ma incombe il rischio scissione

Ora il  Pd accelera sul nuovo leader

«Perdiamo un punto a settimana nei sondaggi: se aspettiamo marzo per fare il congresso, il Pd rischia di non esserci più». Il grido d'allarme di dirigenti dem del calibro dell'ex ministro Lorenzo Guerini, e di più di 600 parlamentari e amministratori che su questo tema hanno sottoscritto un appello al segretario Letta, sembra aver sortito effetto. Il prossimo 19 novembre l'assemblea nazionale del Pd potrebbe trovare l'accordo (ci si sta lavorando in queste ore, cercando un pertugio nelle farraginose e bizantine regole dello Statuto) su una accelerazione del processo che dovrebbe portare alla scelta di un nuovo leader. Sempre con calma, eh: anziché il 12 marzo, si riuscirà forse ad anticipare a fine gennaio. Ma meglio che niente. Definito il campo da gioco, si definiranno prima o poi pure le squadre. Al momento, di candidati ufficiali ce n'è una sola, la ex ministra Paola De Micheli. Poi c'è, ma ancora nell'ombra, il grande favorito Stefano Bonaccini, governatore dell'Emilia Romagna, espressione del partito del territorio, degli amministratori, del pragmatismo riformista di governo, piuttosto allergico al populismo filo-grillino. E per questo temuto dalle correnti e detestato dalla sinistra: «È un clone di Renzi», è il marchio di infamia che gli affibbiano. Per evitare Bonaccini, il grosso dell'apparato storico (dal trio Franceschini-Letta-Zingaretti al partito-ombra Espresso-Repubblica a Prodi) punta sull'astro nascente - nascente già da più di un lustro - Elly Schlein. Che venerdì, sia pur con dorotea prudenza perché prima vuol vedere come butta, ha fatto capire che il ruolo di protagonista nel remake di «A star is born» le piacerebbe.

Per la sinistra interna è un boccone indigesto: Andrea Orlando, spalleggiato da Goffredo Bettini, voleva candidarsi alle primarie su una linea molto radical (attacco al feroce quanto fantomatico «neoliberismo», denuncia della «democrazia censitaria», critica del capitalismo, «riposizionamento strategico» per riscoprire la «radicalità sociale» e, naturalmente, convergenza con i 5s), contando sul pacchetto di voti di Leu. Il partitino di Bersani, D'Alema e Speranza, infatti, si è prima fatto regalare sei posti sicuri da parlamentare dal Pd, poi - zitto zitto - si è sciolto e ora parteciperà alla scelta del segretario dem. Ma con Schlein in campo a far incetta del loro potenziale elettorato, novella Dolores Ibarruri, Orlando e Bettini saranno probabilmente costretti a ripiegare su di lei, con Bersani a rimorchio. Se Bonaccini può fare il pieno nel voto degli iscritti, Elly punta tutto sulle «primarie aperte». «E nei gazebo, col battage paragrillino che le farà la ola, rischia di vincere», calcola un dirigente dem. Con conseguenze potenzialmente deflagranti per il Pd. A fare un silenzioso tifo per Elly, infatti, c'è proprio Renzi: un drastico spostamento dell'asse verso la sinistra salottier-populista, destinata a finire al rimorchio del grillismo, provocherebbe una scissione, o una silenziosa fuga di massa dell'ala riformista e «draghiana» verso il Terzo polo calendian-renziano. Regalando loro, in vista delle elezioni europee, nuovi pascoli elettorali. Del resto, basta vedere quanto sta già succedendo in Lombardia attorno al caso Moratti per capire che in un Pd a bagnomaria, in attesa di congresso, le spinte centrifughe si moltiplicano.

Il votatissimo assessore del sindaco Sala, Pierfrancesco Maran, lancia la propria candidatura e chiede le primarie. Ma viene subito bloccato da Roma: «Niente corse in solitaria». Intanto Calenda insiste: «Avete candidato Casini e Lorenzin, che si sono allontanati dalla deriva sovranista di destra. Perchè Moratti no?».

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