La nuova feroce strada per essere ritenuti degni o indegni di simpatia, di pubblico apprezzamento, di fiducia è impervia: chi sgarra viene espulso da posti di lavoro, cenacoli culturali, ruoli istituzionali. Oggi è in America, ma arriva anche da noi in gran fretta. E la lista si allarga di giorno in giorno. L'ultimo Grande Fratello, con tutte le sue storiche e morali ragioni di rabbia, è il movimento Black Lives Matter. Ma lasciatemi subito dire che non voglio trascurare proprio nessuno, nemmeno la santificata Unione europea. Come dice a Julia Winston Smith, il protagonista di 1984, è in corso un gioco per cui il passato è stato abolito, ogni libro è stato riscritto, ogni pittura ridipinta e ogni statua e strada sono state ribattezzate.
È interessante: Hitler, o Mussolini, o Stalin mentre stabilivano che la storia del loro Paese andava rifondata stabilivano che, intanto, era bene eliminare gli ebrei. Così nel mondo pandemico e rabbioso dei nostri tempi c'è una rinnovata grandiosa spinta all'antisemitismo alla Corbyn, perbene, part time come lo chiama Manfred Gerstenfeld, o alla Borrell che dice che «l'Iran si sa che vuole distruggere Israele, ok, dobbiamo conviverci»: mentre da una parte sei l'indubbio difensore liberal dei diritti umani, della libertà di pensiero e di parola, dall'altra sei uno che lo stato d'Israele non lo ama più, lo restringerebbe, lo condividerebbe coi palestinesi. Oppure non ne vede le ragioni, come il capo di «J Street», Peter Beinart, che annuncia sul New York Times: «Non credo più nello Stato ebraico». Oh, è in buona compagnia.
Quando George Floyd è stato ucciso da un poliziotto sadico, subito Ronald Lauder, presidente del World Jewish Congress, l'Unione per il giudaismo riformato, l'Unione degli ebrei ortodossi e tutte le istituzioni, anche da Israele, hanno preso posizione contro il razzismo, per il movimento nero ecc. Naturale, gli ebrei hanno una tradizione di collaborazione per i diritti umani con i neri, Martin Luther King amava Israele. Ed ecco oggi l'avvento preparato da lungo tempo dell'antisemitismo perbenista: scusi, ma forse gli ebrei sono bianchi? Non è chiaro, ma certo fanno parte degli oppressori all'indice: la prima mossa dei leader della piazza è stata dire che i poliziotti cattivi sono allenati da squadre israeliane, proprio mentre altri suggerivano che avessero sparso il Covid 19. I muri di fronte ai quali passavano le masse che buttavano giù le statue e contestavano la schiavitù (peraltro innanzitutto promossa dal commercio arabo e ancora oggi esistente in 5 stati islamici) si sono riempiti di scritte antisraeliane e filo palestinesi. I dimostranti, in un sobborgo di Los Angeles, urlavano kill the Jews, le sinagoghe sulla strada in varie città sono state riempite di scritte: Free Palestine. Una famosa attivista palestinese, Linda Sarsur, capo del Bds e della famosa «Marcia delle donne» oltre che molto simpatetica verso il terrorismo, ha detto che palestinesi contro israeliani (e certamente lobby ebraica), e neri contro il privilegio e l'oppressione bianca sono la stessa cosa. È un allargamento di massa dell'antisemitismo, obbligatorio per chi è contro l'oppressione. È di moda: lo si è letto in questi giorni in moltissimi tweet di attori, cantanti, sportivi. E avviene sulla scia di quella invenzione propagandistica, tanto bugiarda quanto geniale, ovvero che Israele sia un Paese di apartheid. Non perderò qui tempo a spiegare perché non lo è. Ma è quasi incredibile il numero, a migliaia, delle citazioni di notabili americani ed europei, nel mondo della cultura e della politica, che si sono preoccupati di questa possibilità. Prego di fare una visita, vera o virtuale in un mall o in un ospedale, o alla Knesset.
Le manifestazioni contro Israele e le prese di posizioni continue sono tipiche anche dell'Europa. A Bruxelles, il 28 di giugno in una manifestazione in cui si contesta l'idea, per ora solo scritta sulla carta, che Israele applichi la sovranità al trenta per cento della zona C (peraltro già affidatagli dagli accordi di Oslo), una folla con le bandiere palestinesi chiede a gran voce di «massacrare gli ebrei». Sì, massacrare. Nelle piazze di Berlino gli hezbollah hanno manifestato ogni anno con grande seguito antisemita. È una bizzarria? Un epifenomeno in un'Europa tutta protesa a magnifiche sorti e progressive, dove la responsabile per l'antisemitismo, la buona Katharina von Schnurbein, si occupa solo di quello? No. Lo sfondo è quello di un incessante, ventennale lavorio di delegittimazione istituzionale che si rovescia sulle piazze perbene, adesso, quelle antioppressione, come una doccia rinfrescante: Israele viola il diritto internazionale, dice senza base l'Ue, vuole illegalmente annettersi la West Bank, dice l'Ue definendola «territori palestinesi» arbitrariamente. È chiaro che si fomenta con firme molteplici - lo fanno gli intellettuali europei, o i ministri degli esteri, compreso il nostro - la disapprovazione sociale antiebraica di questi oppressori bianchi che hanno il nome di ebrei, o, intercambiabilmente, per quante scappatoie cerchino gli ebrei liberal, di israeliani.
È di due giorni fa la decisione dell'Ue di finanziare un costosissimo programma di costruzioni per strutture palestinesi nella zona C, quella israeliana. Qui non c'è stata nessuna petizione morale per dialoghi, scambi bilaterali, processo di pace.
L'antisemitismo di oggi, come al tempo della colpevolizzazione comunista per cui Fausto Coen, direttore di Paese Sera, fu buttato fuori dal suo giornale per avere fatto un titolo di sincero sollievo per la vittoria nella Guerra dei Sei Giorni, fa degli ebrei non più vittime della storia, ma nuovi oppressori. Le loro radici storiche che li radicano nello Stato in cui finalmente vivono e la verità sulla Shoah, questi due pilastri sono stati rimossi dai momenti che definiscono la storia del Ventesimo secolo, e gli ebrei sono di nuovo problematicamente influenti o distruttivamente potenti nella fantasia istituzionale e popolare: la stessa identità ebraica è diventata una pretesa di potere, l'Europa e i movimenti ne rifiutano la semplice verità che è una richiesta di eguaglianza nell'autodeterminazione. Come tutti i popoli.
Personalmente, sono stata disinvitata, all'ultimo momento, da una casa di vecchi conoscenti a Roma per palese paura che la mia presenza potesse suscitare dibattito, scandalo, e chissà che altro. Loro sanno di chi sto parlando. Li ringrazio per avermi acceso una luce sulla società italiana, al di là delle chiacchiere.
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