Ecco perché Di Maio non può fare il premier

Il Movimento Cinque Stelle non ha la maggioranza in Parlamento, ha il 68% degli elettori 'contro' ma Luigi Di Maio pretende lo stesso di diventare premier. Su quali basi?

Ecco perché Di Maio non può fare il premier

“Il premier devo essere io perché il Movimento Cinque Stelle ha preso il 32% e deve essere rispettata la volontà popolare”. È questo il mantra che Luigi Di Maio va ripetendo dal 4 aprile come se fosse un disco rotto. Questa affermazione, però, visti anche i precedenti, ha il sapore di una fake news.

La teoria grillina va a sbattere se messa di fronte a quel 68% di italiani che non ha votato per il Movimento Cinque Stelle. Partendo da questa percentuale si può dedurre l’esatto contrario di quel che sostiene Di Maio, ossia che la volontà popolare verrebbe rispettata solo se lui non andasse a Palazzo Chigi. Il leader del M5S dimentica, inoltre, che il centrodestra, come coalizione nel suo complesso, ha ottenuto il 37% e, volente o nolente, questo è un fatto che non va trascurato. L’attuale legge elettorale permette la formazione di coalizioni e, diversamente dal Porcellum, non prevede l’indicazione del candidato premier ma solo del ‘capo politico’ dei singoli partiti. Lo stesso Di Maio si definisce ‘capo politico’ del Movimento Cinque Stelle e, solo in seconda battuta, candidato premier anche perché, che piaccia o che dispiaccia ai pentastellati, la democrazia diretta ancora non è entrata in vigore. Siamo in una democrazia rappresentativa e il presidente del Consiglio, in pratica, lo può fare chiunque raccolga i voti necessario per ottenere la fiducia in Parlamento. Carlo Azeglio Ciampi, Mario Monti e Matteo Renzi, al momento del loro ingresso a Palazzo Chigi, non erano neppure stati eletti. Possiamo (e dobbiamo) contestare il modo in cui sono saliti al potere, possiamo (e dobbiamo) contestare i loro metodi di governo e le scelte portate avanti ma, dal punto formale e costituzionale, nessuna legge prevede che diventi presidente del Consiglio il leader del partito più votato. Giovanni Spadolini, nel 1981, è diventato il primo capo di governo non democristiano pur essendo a capo di un partito come il Pri che, nella sua storia, ha raggiunto il suo picco massimo con le Europee del 1984. Si trattava di un misero 6%... E che dire di Bettino Craxi che guidò il governo dal 1983 al 1987 quando il suo PSI aveva a malapena l’11% e la Democrazia Cristiana viaggiava ancora attorno al 33%?

Sì, ma era la Prima Repubblica, direte voi. Ma, nella Seconda Repubblica, la situazione non è stata molto diversa. Sì, c’è stata l’alternanza tra centrodestra e centrosinistra e Silvio Berlusconi ha dominato la scena nel suo campo, ma la sinistra come si è comportata? Ora, badate bene, nessuno vuole sostenere che sia corretto sostituire più volte il premier a dispetto della volontà popolare, ma i fatti sono fatti e, in una situazione di stallo, chiunque può diventare premier. Senza ritornare agli anni ’90 con Massimo D’Alema e Giuliano Amato, pensiamo a quanto avvenuto nella scorsa legislatura. In teoria Pier Luigi Bersani, a rigor di logica, avendo la maggioranza alla Camera, sarebbe dovuto diventare capo del governo e, invece, ebbe solo un pre-incarico.

Dal 2011 a oggi, da Mario Monti a Paolo Gentiloni, nessuno degli ultimi presidenti del Consiglio era il candidato premier della maggioranza che lo sosteneva. Ora non si capisce perché Di Maio, cui mancano 90 deputati e 44 senatori per avere la maggioranza, debba diventare presidente del Consiglio.

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