Ecco perché il piano europeo è un'utopia

Gli accordi con Libano, Giordania e Siria non fermeranno i profughi verso l'Italia. Le intese con gli altri Paesi a rischio per la corruzione

Ecco perché il piano europeo è un'utopia

La Commissione Europea l'ha ufficialmente adottato e da ieri il «migrant compact» è realtà. Ora però bisogna vedere se il piano proposto all'Europa da Matteo Renzi avrà effetti pratici. Il rischio è che anche il nuovo «piano Marshall» per l'Africa, come viene descritto, si riveli una costosa utopia assolutamente inadeguata ad arrestare i migranti provenienti da Africa e Medio Oriente. Il progetto punta a sviluppare, impiegando otto miliardi di fondi Ue, accordi di partenariato con i paesi da cui si sviluppa l'esodo migratorio per bloccare il flusso ab origine. Nella sua veste attuale il piano sembra, però, inadeguato a tamponare i migranti in transito dalla Libia e provenienti in maggioranza da Nigeria (15%), Gambia (10%), Somalia (9%), Costa d'Avorio (8%) Eritrea (8%) Guinea (8%) e Senegal (7%). La prima fase del progetto, varata ieri, prevede solo accordi di partenariato con Libano, Giordania e Tunisia estendibili, in caso di consolidamento delle sue istituzioni, alla Libia. In questa forma il progetto non intaccherebbe minimamente il flusso di profughi diretti verso le coste italiane. Gli accordi con Libano e Giordania riguardano infatti circa due milioni e mezzo di profughi siriani, ospiti di quei paesi, che si guardano bene dal raggiungere l'Italia. Il partenariato con la Tunisia è sostanzialmente rivolto ad evitare un collasso economico del Paese ed ad arginare l'avanzata dell'Isis. In Libia non c'è, invece, bisogno d'investire risorse europee. In caso di consolidamento politico, le risorse petrolifere basterebbero da sole a rilanciare l'economia. Paese di transito e non d'origine dei profughi, la nostra ex-colonia necessita piuttosto di una seria politica di sicurezza per sbarrare quelle frontiere meridionali da cui transitano i migranti spostati dai trafficanti di uomini. Anche gli accordi con Niger, Nigeria, Senegal, Mali ed Etiopia, previsti nella seconda fase del piano, garantirebbero vantaggi modesti per l'Italia. La Nigeria pur essendo paese d'origine di gran parte dei migranti irregolari salpati dalla Libia è, grazie al petrolio, una delle economie più vitali del Continente Nero.

Il vero problema è una corruzione capace di bloccare qualsiasi redistribuzione delle ricchezze. La stessa corruzione che negli ultimi 60 anni ha «divorato» e vanificato mille miliardi di aiuti regalati al Continente Nero. Per fermare i flussi in partenza dall'Etiopia bisognerebbe, inoltre, siglare accordi per bloccare il transito dal Sudan, un paese sotto sanzioni governato da un presidente inseguito da un mandato di cattura internazionale. Il Senegal è, invece, un caso paradossale. La sua economia è una delle poche in pieno sviluppo di tutta l'Africa, le sue istituzioni registrano livelli di corruzione accettabili e il governo è pronto a collaborare per bloccare l'esodo di migliaia di giovani abbagliati dal miraggio dell'Europa. Eppure l'esodo dei senegalesi pronti a rischiare la vita sui barconi continua senza ragioni apparenti. Ancora più complesso il caso di un Niger trattato alla stregua di colonia da Parigi che sfrutta le sue miniere di uranio per alimentare le proprie centrali nucleari, ma ne delega all'Europa il soccorso economico. Paese cruciale per arrestare il flusso di migranti verso il confine libico, il Niger è un Paese in balia della corruzione dove soldati e poliziotti si trasformano, in cambio di poche decine di dollari, nella scorta dei camion e dei pullman diretti verso la Libia.

Ma a rendere definitivamente utopico il «migrant compact» s'aggiunge la miopia di chi s'illude che sia ancora l'Occidente ad affamare l'Africa e non una Cina trasformatasi, nell'ultimo ventennio, nella grande predatrice di materie prime africane.

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