Ecco perché la ricreazione di Renzi è finita

La scelta del premier di trasformare il voto popolare sul Senato in una specie di resa dei conti è stato un clamoroso autogol

Ecco perché la ricreazione di Renzi è finita

Per il governo Renzi la ricreazione è davvero finita. Lo stiamo dicendo da mesi, ma adesso a decretarlo, con un'intervista, è stato proprio Carlo De Benedetti che, dal vertice del suo gruppo editoriale, era stato, finora, decisamente dalla parte del giovin Matteo. Persino l'Ingegnere ha ora cominciato ad ascoltare le note del De Profundis che si stanno diffondendo diffondo da Palazzo Chigi e dintorni.

Perché sono significative le parole dello spregiudicato imprenditore che ha dichiarato l'intenzione di votare «No» al referendum d'autunno? Per tante ragioni, ovviamente, ma soprattutto per un motivo «storico»: fu proprio De Benedetti a pronunciare la famosa frase «La ricreazione è finita». Per la verità, il copyright è di de Gaulle che sentenziò cosi nel '68 quando pose la parola fine ai moti studenteschi parigini nel famoso '68 francese. Al generale andò bene, nel senso che, dopo il suo intervento, i contestatori deposero le bandiere e rientrarono nelle aule delle università. Lo slogan venne, appunto, ripetuto vent'anni dopo, nel 1988, quando l'Ingegnere, su consiglio di un giovane Alain Minc, tentò l'assalto della Sgb, la Société Generale de Belgique, una conglomerata che controllava banche, assicurazioni, petrolio, energia, miniere e compagnie marittime. Pensava già di aver vinto, ma sottovalutò la reazione del gruppo scalato che, guidato dal visconte Davignon (quello del piano siderurgico europeo), riuscì a respingere il take over.

Oggi De Benedetti ha fatto il bis e dopo Sgb ha, in pratica, licenziato Rgb (Renzi, Giannini, Boschi): era stato tra i principali fan dell'ex sindaco di Firenze e, quindi, se, pure lui, ha preso le distanze dalla consultazione referendaria così come è stata voluta dal governo, significa semplicemente che siamo davvero all'atto finale.

Basti pensare cosa dichiarò l'Ingegnere in un'altra intervista, il 14 novembre del 2014, nel giorno del suo ottantesimo compleanno: «Renzi? Un vero fuoriclasse: empatico come Fanfani, abile come Craxi». A suo dire, allora, un tipo molto intelligente, una spugna che assorbe tutto e, per completare il peana, « veloce e spregiudicato». Tanto veloce e spregiudicato, verrebbe da dire, da aver fatto il passo più lungo della gamba come certifica lo stesso Ingegnere dicendo «No» aduna riforma elettorale che grida vendetta. Un «No» che diventa anche un implicito sfratto al governo: ecco la conferma che la scelta di Renzi di trasformare il voto popolare sul Senato in una specie di resa dei conti pro o contro lui è stato un clamoroso autogol.

Prima di De Benedetti, se ne era accorto lo stesso presidente del Consiglio che ha cercato di fare marcia indietro sulla personalizzazione della consultazione elettorale: troppo tardi. E adesso, dopo Brexit, per cercare di prendere tempo, qualcuno dell'entourage renziano starebbe pensando di chiedere, se è possibile, lo slittamento della data del voto a dopo il varo della manovra finanziaria.

Se vogliamo, nel suo piccolo, Matteo ha ripetuto l'errore di Cameron che, dando via libera al referendum sulla permanenza o meno della Gran Bretagna in Europa, si è scavato da solo la fossa. Per Cameron la ricreazione è finita il 23 giugno, a quando l'addio di Renzi?

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