New York Le narcoconfessioni nel processo contro El Chapo ricostruiscono una pista che collega direttamente i cartelli della droga agli alti piani della politica messicana.
A rivelarlo è colui che si è autodefinito il braccio destro di Joaquin Guzman, e ora racconta che il boss pagò una mazzetta da 100 milioni di dollari all'allora presidente messicano Enrique Peña Nieto. Durante un'udienza al tribunale federale di Brooklyn, a New York, il trafficante colombiano Alex Cifuentes, dal 2007 al 2013 segretario e strettissimo collaboratore di El Chapo, ha discusso la presunta tangente in un interrogatorio incrociato con uno degli avvocati del re della droga, Jeffrey Lichtman. Confermando pubblicamente quanto aveva già detto durante una testimonianza con le autorità americane nel gennaio 2016.
Ciufentes ha spiegato che nel 2012, quando era presidente eletto, Peña Neto (rimasto poi in carica sino al 2018) aveva chiesto a El Chapo 250 milioni di dollari per porre fine alla caccia all'uomo a livello nazionale. Guzman instaurò una trattativa e dopo una serie di proposte e controproposte, e alla fine gli aveva versato «solo» 100 milioni.
«È proprio quello che mi ha detto Joaquin», ha affermato Cifuentes, precisando pure che una volta il suo ex capo aveva ricevuto un messaggio dal presidente in cui gli diceva che non doveva più vivere nascosto.
Si tratta della prima volta che viene tirato in ballo direttamente l'ex leader messicano: precedenti testimonianze, infatti, coinvolgevano politici di livello inferiore, funzionari di polizia e militari nella vasta rete di corruzione che facilitava il traffico di El Chapo, ma mai i vertici dello stato. «Le sue dichiarazioni sono false, diffamatorie e assurde», ha scritto su Twitter l'ex capo di stato maggiore di Peña Nieto, Francisco Guzman: «Il suo governo è stato quello che ha localizzato, arrestato ed estradato Joaquin Guzman Loera. Dall'inizio dell'amministrazione è stato un obiettivo prioritario della sicurezza».
El Chapo per due volte è riuscito a evadere dal carcere con fughe spettacolari, ma altrettante è stato ricatturato, l'ultima delle quali nel 2016. E nel 2017 è stato estradato negli Stati Uniti per rispondere alle accuse di traffico di cocaina, eroina e altre droghe come leader del cartello Sinaloa. La sua difesa nel corso dell'udienza ha poi chiesto al narcotrafficante colombiano se il predecessore di Peña Nieto, l'ex presidente Felipe Calderon, avesse ricevuto una tangente nel 2008 dai fratelli Beltran-Leyva, rivali di El Chapo, ma lui ha detto di «non ricordare» la vicenda. Però ha riferito di altre mazzette pagate da Guzman a funzionari messicani: in almeno due occasioni - ha spiegato - il boss ha versato all'esercito tra i 10 e i 12 milioni di dollari affinché avviassero operazioni per «uccidere o catturare» i soci dei fratelli Beltran-Leyva.
Oltre a raccontare che la polizia federale messicana non solo avrebbe chiuso un occhio sul traffico di droga, ma occasionalmente vi avrebbe preso direttamente parte: come quando i trafficanti diedero agli agenti le foto di alcune valigie piene di cocaina inviate dal cartello su un aereo proveniente dall'Argentina. La polizia - ha detto - ha prelevato le valigie dal ritiro bagagli, e ha venduto la droga per conto proprio.
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