Il testimone Giuseppe Conte è davanti ai pm di Bergamo che l'interrogano. Per tre ore in mattinata deve spiegare alla procuratrice Maria Cristina Rota e agli altri inquirenti perché non ha istituito la zona rossa ad Alzano Lombardo e Nembro, che probabilmente avrebbe evitato tanti morti di coronavirus.
«In caso di urgenza e necessità», argomenta il premier, la Regione aveva tutti gli strumenti tecnici per procedere autonomamente, come poi ha fatto e così come hanno fatto altre Regioni. Il presidente della Lombardia, Attilio Fontana, già sentito dai pm ha detto il contrario: la scelta spettava all'esecutivo. È il rimpallo delle colpe.
Gli stucchi e gli ori di Palazzo Chigi contano poco, perché il presidente del Consiglio è nelle vesti di persona informata dei fatti e come tale tenuto a non mentire. Potrebbe diventare indagato, per epidemia colposa. Con conseguenze devastanti su di lui e sul governo che guida. Finora Conte ha sfoggiato grande serenità, ha preparato con gli esperti legali della presidenza del Consiglio la sua deposizione e accumulato i documenti necessari per appoggiare la sua linea. «Ho voluto chiarire - spiega alla fine dell'audizione - tutti i passaggi nei minimi dettagli».
Se abbia convinto gli inquirenti bergamaschi non è dato sapere. Tutto dipende dalla verità, nient'altro che la verità, che Conte ha presentato ai magistrati e saranno loro a confrontarla e verificarla alla luce delle altre deposizioni, da quelle del governatore lombardo Fontana e del suo assessore alla Sanità Giulio Gallera a quella del presidente dell'Istituto superiore di sanità Silvio Brusaferro. Testimonianze, documenti, che saranno incrociati per i riscontri anche con quanto dicono ai pm, dopo il premier, il ministro della Salute Roberto Speranza e la responsabile dell'Interno Luciana Lamorgese.
Alla pm Rota all'uscita dal palazzo chiedono se è sempre convinta, come ha detto il 29 maggio, che la zona rossa fosse responsabilità di Roma e lei precisa: «Ho detto che dalle dichiarazioni che avevamo in atto emergeva quello, in quel momento. Oggi non ho altro da aggiungere». In più il magistrato dice che le audizioni si sono svolte in un clima di «massima distensione e di massima collaborazione istituzionale». E conclude: «Ora noi ce ne andiamo grati della dichiarazioni che abbiamo avuto per completare il nostro lavoro». Ma quando i giornalisti la incalzano chiedendo se qualcuno sarà indagato, la pm si ritrae, scuote il capo, allarga le braccia e dice: «No, no». Evita di rispondere.
Dalla Sicilia arriva il primo commento del leader della Lega Matteo Salvini, che per la scelta politica di non far sbarcare una nave di migranti dovrà andare a processo e si riferisce e all'uso politico della giustizia nei suoi confronti, che emerge dal caso Palamara. «Io non perseguo la vendetta giudiziaria o la via politica tramite tribunali, però se c'è un pm che dice ne rispondano Conte e i ministri Speranza e Lamorgese, se Palamara non lo blocca, resto a questa dichiarazione del magistrato. Non voglio commentare con parole mie, ma con quelle del pm di Bergamo, cioè spettava al governo creare le zone rosse, la Regione Lombardia non aveva alcuna responsabilità».
Che chiudere i due comuni della valle bergamasca avrebbe salvato delle vite appare indubbio, ma la domanda è a chi toccasse farlo, governo o Regione? Se la responsabilità fosse esclusiva dell'uno o dell'altra tutto sarebbe più facile, ma visto che appare concorrente, ecco che la soluzione s'ingarbuglia. «Ho agito in scienza e coscienza - ha ripetuto Conte alla vigilia dell'interrogatorio- e rifarei tutto».
Su Facebook il ministro Speranza assicura «massima disponibilità nei confronti di chi sta indagando». Quanto la questione sia delicata lo dicono i commenti allarmati dalla maggioranza.
Il grillino Elio Lannutti critica la Rota. «Sbaglio, o si tratta della stessa Pm che ha già emesso sentenza assolutoria in tv per Fontana?». Il dem Stefano Ceccanti invita alla cautela, sostenendo che la procura di Bergamo non è competente.
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