La marcia del Sultano Erdogan è stata inesorabile. Ieri con il 52% dei voti ha staccato di più di quattro punti il suo avversario Kemal Kilicdaroglu ed è stato confermato presidente della Turchia per i prossimi 5 anni. Erdogan può contare anche su una maggioranza parlamentare confortevole. E grazie alla sua strategia da politico abile e astuto ce l'ha fatta di nuovo. La sua scaltrezza e spregiudicatezza ha pagato. È riuscito infatti a portare la Turchia di nuovo al centro dei giochi del mondo. Ha trattato con amici e nemici. È entrato nella partita ucraina proponendosi come mediatore, e in quella per il gas e il grano. Tra golpe, successi internazionali, conflitti interni ed esterni ha alla fine vinto anche se non trionfato. La sua influenza si estende in tutto il Medio Oriente e l'Africa e arriva addirittura fino ai confini con la Cina. Ha pure tenuto in scacco l'Europa con la pressione dei migranti sul confine. E nonostante la tragedia del terremoto e la disastrosa crisi economica è ancora sul suo trono. Un nuovo impero sta per nascere con la sua forte e determinata ambizione di grandezza. «Il nostro popolo si è affidato di nuovo a noi, si apre il secolo della Turchia» ha commentato a seggi chiusi ieri Erdogan che oggi parlerà al Paese da Istanbul. «Ho perso ma non ho mai taciuto dinanzi ai problemi che hanno afflitto il Paese», le parole di Kilicdaroglu che ha ammesso la sconfitta.
Ieri al mattino Istanbul era sonnacchiosa, i suoi abitanti camminavano tranquilli per le strade, nel loro giorno più importante, il tanto atteso ballottaggio. Da Sultanahmet il tram super moderno della città arriva al suo capolinea Katabas. In 20 minuti di cammino si è a Besiktas. Besiktas è un quartiere della classe media dove alla sera si riuniscono molti studenti, per cenare, prendere un drink, oppure al pomeriggio per un caffè o un tè. Ieri mattina regnava una strana calma, insolita per la vibrante e poliedrica metropoli. Nella scuola media di Buyuk Esma Sultan c'erano decine di persone pronte per votare e scegliere il destino del loro Paese. Basak, 23 anni, con grandi occhi marroni, studentessa di psicologia, non aveva perso le ultime speranze, ma sentiva aria di sconfitta. «Io voterò per Kilicdaroglu, ma molti voteranno per Erdogan perché al primo turno non ce l'ha fatta subito, sono parecchio motivati». Anche la sua amica Eda, 24 anni, insegnante di asilo, con lunghi capelli rossi, era della stessa opinione. «Vorrei sposarmi ma non ho abbastanza soldi. Voterò per Kilicdaroglu per difendere i diritti di noi donne. Molte turche sono state uccise dai loro mariti negli ultimi anni per colpa di una cultura retriva».
Vicino a Besiktas c'è Akaretler, un vivace quartiere famoso per le sue case a schiera del 19esimo secolo, costruite in origine per gli alti ufficiali del maestoso palazzo di Dolmabahçe sul mare, che ora ospita un museo. È un'area più glamour, di caffè e ristoranti. Ad Akaretler si può mangiare il migliore iskender nel ristorante omonimo. Un piatto a base di agnello, yogurt, olio di burro bollente. Mariam, 50 anni, che indossa un velo nero e beige, e suo marito Ismail, 57, impiegato, a braccetto con la mamma Mine, 82, sono lì e hanno votato tutti per Erdogan. Mariam spiega: «Erdogan è il solo che può salvare la nazione, è un leader forte e dà stabilità. L'Europa supporta Kilicdaroglu solo perché Erdogan non è facile da gestire, e lo fa non per il bene della Turchia ma per i suoi interessi». Poi interviene Mine, la mamma anziana: «Kilicdaroglu non è un vero leader».
Da Besiktas a Eminonu vicino al ponte di Galata sono solo 10 minuti di battello. Le barche per attraversare le sponde della città sono un mezzo molto utilizzato a Istanbul. Gul, 50 anni, casalinga, occhi azzurri incorniciati da un velo grigio e con una sciarpa gialla, ha le idee chiare, è lì al molo che aspetta la sua imbarcazione. «Erdogan solo può proteggerci. Il suo motto è anche il mio: uno Stato una nazione».
Intanto in mare spicca la portaerei Anadolu, la potente nave da guerra da 27mila tonnellate, la prima concepita come base di lancio per i droni. È ormeggiata ai piedi della collina di Topkapi, quello che fu un tempo il palazzo imperiale. Un'esibizione di forza del Sultano, che davano per morto, invece è ancora qui saldo e senza nessuna intenzione di andar via.
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