L'Occidente corteggia un Iran immaginario

Fatto l'accordo sul nucleare il Paese mostra il suo vero volto. Più feroce di prima

L'Occidente corteggia un Iran immaginario

Ricordate il presidente Mohammad Khatami? Fu il volto sorridente della Repubblica Islamica dell'Iran sedici anni prima del suo successore Hasan Rowhani. Come lui accese enormi speranze spente, alla fine, dai diktat della Suprema Guida Alì Khamenei e di quell'apparato - invisibile ma inamovibile - nelle cui mani resta concentrato, a 36 anni dalla Rivoluzione Khomeinista, il vero potere iraniano. Un potere già pronto a rimettere sotto tutela anche il presidente Rowhani. I segnali - nonostante l'euforia diffusasi in Occidente dopo l'accordo sul nucleare con l'America di Obama - sono già evidenti. All'inizio della settimana l'agenzia Fars ha riferito del fermo di cinque giornalisti, tra cui due noti esponenti riformatori. E prima di loro erano già finiti in gattabuia due poeti e un regista. Il nuovo giro di vite del potere giudiziario riflette i vecchi schemi usati già ai tempi di Khatami per incarcerare chi s'illudeva di cambiare le regole gioco. Gli arresti, come in passato, sono accompagnati da una serie di richiami all'ordine diffusi da quella stessa Suprema Guida che sembrava incoraggiare gli sforzi di Rowhani per raggiungere un accordo sul nucleare. Il dietrofront più evidente si nota durante le celebrazioni del 4 novembre per il 36mo anniversario dell'occupazione dell'Ambasciata Usa a Teheran. «Lo slogan "morte all'America" si basa sulla ragione e sulla saggezza - ricorda nell'occasione Khamenei aggiungendo che - l'atteggiamento degli Stati Uniti nei confronti della Repubblica Islamica non è in verità mai cambiato....se potessero distruggerci non esiterebbero un attimo». Il ritorno allo scontro frontale con il «Grande Satana» è preceduto, giorni prima, dall'esortazione a non importare prodotti americani approfittando della fine delle sanzioni. Un avvertimento seguito dalla messa al bando degli stessi prodotti su ordine del ministro del commercio Mohammad Reza Nematzadeh. Lo schema sembra, insomma, identico a quello del 1997. Allora, nove anni dopo la fine della guerra con l'Iraq, un paese ancora in ricostruzione cerca un volto nuovo capace di garantire gli scambi con l'Occidente ed entusiasmare una popolazione costituita al 70 per cento da giovani sotto i 20 anni. «Mutatis mutandis» l'Iran del 2013 ha un disperato bisogno di uscire dall'isolamento causato dalla doppia presidenza di Mahmoud Ahmadinejad, di rimettere ordine in un economia devastata dalle sanzioni e riportare sui mercati internazionali il proprio petrolio. Ma il ruolo e il compito di Rowhani, sembrano voler far capire, Khamenei e i suoi invisibili fiancheggiatori si fermano lì. «Questa è per Rowhani l'inizio della fine. Quello che stiamo vedendo dentro e fuori il paese è un'Iran pronto a perseguire nuovamente una politica di contrapposizione mentre il volto sorridente dell'Iran è destinato ad attenuarsi» sostiene Mehdi Khalaji un esperto di origine iraniana arruolato nelle fila del Washington Institute for Near East Policy, il centro studi americano sul Medio Oriente. In verità il brusco giro di vite imposto dai conservatori ha anche ragioni squisitamente politiche. A febbraio l'Iran vota per la rielezione del Parlamento e l'ala dura teme una ripetizione di quanto avvenuto nel 2000 quando, sfruttando l'effetto Khamenei, i riformisti conquistarono il controllo del Majlis con oltre il 60 per cento dei voti.

Quell'elezione - oltre a offrire la chiara immagine di una nazione controllata da una vecchia guardia appoggiata da appena un terzo della popolazione - spaccò in due il Paese regalando ai riformatori l'illusione di poter scendere in piazza e rivendicare il diritto a cambiare il sistema. Un'illusione che Khamenei e l'ala dura non hanno alcuna intenzione di reiterare.

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