La finta pace Letta-Prodi. Resta il nodo Quirinale

Il leader Pd elogia il Prof che lo aveva criticato. Sul Mattarella bis, però, hanno idee opposte

La finta pace Letta-Prodi. Resta il nodo Quirinale

Rieccoli insieme, uniti in un lungo abbraccio in favor di telecamera utile a disperdere l'idea di un dissidio tra il maestro e il discepolo.

Romano Prodi e Enrico Letta si sono esibiti insieme, ieri sera a Roma, scambiandosi elogi e riconoscimenti. Occasione, la presentazione del libro autobiografico Strana vita, la mia, dato alle stampe da Prodi proprio in concomitanza - secondo i maligni - con l'apertura della partita per il Colle. Malignità che, ovviamente, il diretto interessato smentisce seccamente, e con buoni argomenti: «A 82 anni, con un incarico settennale, sarebbe una incoscienza». Tanto più, aggiunge con un certo sarcasmo, che i famosi «101», i franchi tiratori Pd che affossarono nel 2013 la sua investitura, «sono ancora lì e hanno fatto figli e nipoti». Come dire che i cospiratori (Prodi lascia intendere di essere convinto che quello per trombarlo fosse un piano ben orchestrato, e assai più largo di quanto appaia) sono ancora lì, pronti a ripetere il misfatto. Né deve essere interpretata come «occhiolino» a destra per averne i voti, assicura, la sua sorprendente difesa dell'ex arcinemico Berlusconi dalla «follia» della richiesta di perizia psichiatrica. Su cui Letta, invece, tace.

Ma pur tirandosi (almeno ufficialmente) fuori dalla mischia, l'ex fondatore dell'Ulivo non perde l'occasione per ribadire al segretario Pd che il suo piano A, ossia il bis di Mattarella, non esiste, e che dunque è bene che il suo partito si affretti a mettere insieme un piano B. Se spera di essere lui, alla fine, il jolly necessario, di certo non lo lascia trasparire: «Mattarella ha detto che non vuole il bis, e come tutti i siciliani silenziosi non cambierà idea». E siccome, sottolinea, Draghi è fondamentale al governo, il Pd deve trovare un altro nome. Letta rinvia: «Di Quirinale si parlerà da gennaio, inutile infilarsi ora in un rebus».

La rimpatriata tra i due è l'occasione per smentire i sospetti di disaccordo, nati dalle punzecchiature di Prodi contro un Pd che parla troppo di leggi Zan e poco di grandi questioni sociali. «Nessuna bacchettata a Enrico, concordiamo sui temi della ripresa», dice il maestro, che poi incorona Letta come «federatore obbligato delle correnti Pd e dei Cinque stelle», con cui l'alleanza è obbligata. Letta, dal canto suo, ripete che «Romano» resta il suo maestro, colui che lo scelse «come ragazzo di bottega» a Palazzo Chigi, un «uomo di Stato capace di fare la Storia, e non solo di accompagnarla» Un punto di riferimento politico e esistenziale: «Ci sono poche persone cui chiedo consiglio nei passaggi chiave della mia vita, e Prodi è una di questi», confida, mentre l'altro racconta della telefonata che il pupillo gli fece prima di tornare da Parigi accettando la nomina a segretario dem, che gli consigliò di accettare.

Di qui a gennaio si capirà dunque se tanta sintonia politica (nonostante le ramanzine) porterà anche a investiture importanti. Intanto però i critici di Letta nel centrosinistra non perdono occasione per sottolineare le riserve del Professore sulla linea del Pd lettiano. «Sono d'accordo con Prodi - dice Andrea Marcucci - il Pd spesso comunica scarsa attenzione sui temi economici e il rilancio. In fondo è la famosa discussione sull'agenda Draghi che ci divide, e nel Pd c'è chi considera Draghi un male transitorio da rimuovere».

E accusa il suo partito di fare «battaglie parlamentari non calibrate o espresse male» e proposte come quelle sulla tassa di successione «che ha prodotto una idea distorta dei nostri obiettivi». Anche i renziani di Italia viva utilizzano Prodi contro Letta: «Il Pd lo ascolti - dice Ettore Rosato - in piena pandemia e crisi economica non ci si può caratterizzare solo per il voto ai sedicenni e il ddl Zan».

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