
È passato quasi un anno. Il crollo. La disperazione e lo sgomento. Cinque vite perdute. Cinque uomini che il 16 febbraio 2024 lavoravano nel cantiere della nuova Esselunga di Firenze (foto). I sindacati proclamarono lo sciopero, dando voce all'indignazione generale: «Basta morti sul lavoro». E tv e giornali costruirono la solita narrazione che scatta in questi casi: sul banco degli indagati virtuali furono issate di peso l'Esselunga e la sua partecipata Villalta, la società presieduta da una vecchia gloria della politica come Angelino Alfano. Ora ecco le perquisizioni e la scoperta che l'indagine è andata avanti in tutt'altra direzione: sono indagati due ingegneri e l'amministratore dell'azienda che stava eseguendo le opere in quel punto. Per i pm di Firenze non ci sono dubbi: il disastro è stato provocato da un «errore di progettazione», di più i calcoli sbagliati riguardano una trave, la TL309-2P, relativa «al secondo impalcato dell'edificio in costruzione». Non ci sono ancora colpevoli, siamo solo nella fase delle indagini, ma dobbiamo rivedere tutte le accuse virtuali scagliate come pietre in quei giorni di dolore e di rabbia: lo sfruttamento, il caporalato, i subappalti, il lavoro nero. Un rosario di parole che entrano in circolo ad ogni tragedia e purtroppo il nostro Paese è assuefatto ai drammi che rubano esistenze nelle fabbriche, sulle impalcature, nei laboratori. Tante vite, troppe, che se ne vanno, e ogni volta i leader delle opposizioni e dei sindacati puntano il dito contro gli imprenditori. E già che ci sono contro il governo che non potenzia mai a sufficienza gli ispettori e ha introdotto nell'edilizia quell'obbrobrio che è la patente a punti. «L'imprenditore - spiega Marco De Bellis, uno dei più noti avvocati del lavoro di Milano - viene visto come un antagonista e se succede un incidente subito lo si mette in croce, anche se non ha nessuna responsabilità, senza aspettare nemmeno l'avvio delle indagini. Qui l'Esselunga è stata attaccata sulla base di una sorta di presunzione di colpevolezza». Ma, a quanto risulta, nulla viene contestato al colosso della famiglia Caprotti. «Venivano calcolati in modo erroneo i carichi che la trave avrebbe dovuto sostenere», si legge negli atti. Questo a Firenze, mentre le statistiche dell'Inail ribaltano un altro luogo comune: moltissime sciagure sono dovute alla disattenzione dei lavoratori.
«Ala fine - conclude De Bellis - più di un datore di lavoro viene condannato per una sorta di responsabilità oggettiva, ma molte vicende ci consegnano una verità diversa: le vittime, magari per abitudine, non hanno indossato i dispositivi di protezione o non hanno rispettato le regole». A Firenze però non è successo nemmeno quello.
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