Flessibilità e incentivi, così la Spagna rialza la testa

Flessibilità e incentivi, così la Spagna rialza la testa

RomaLa prima differenza tra la riforma spagnola del mercato del lavoro e il Jobs Act è il veicolo legislativo usato: decreto legge a Madrid, legge delega in Italia. Il primo effetto, il calo dello spread tra i titoli decennali spagnoli (Bonos) e quelli tedeschi. Oggi, la differenza tra i tassi dei due titoli è di 117 punti, contro i 140 dei titoli italiani.

Sul piano pratico, nel gennaio del 2013 (la riforma è di febbraio) il tasso di disoccupazione in Spagna sfiorava il 27%. Nel luglio scorso era sceso al 24,47%. Mentre la disoccupazione giovanile è rimasta sopra il 52/53%: segno che la riforma era (ed è) rivolta a chi aveva un lavoro e lo ha perso a causa della crisi.

L'articolo 18 non esiste in Spagna. In compenso, la riforma crea un nuovo tipo di contratto per le aziende con meno di 50 dipendenti. Il neo assunto avrà un periodo di prova di un anno. Se ha meno di 30 anni, l'azienda avrà una deduzione fiscale di 3mila euro. In aggiunta, se il neo assunto proviene da un periodo di assegno di disoccupazione, l'azienda può dedurre il 50% dell'indennità che sarebbe spettata al lavoratore. E lo stesso può incassare il 25% dell'assegno di disoccupazione con un limite massimo di 12 mesi.

I neo assunti a tempo indeterminato sotto i 30 anni, oltre alla deduzione fiscale, si trascinano anche un bonus previdenziale per le imprese di 3.600 euro per tre anni. Bonus che sale a 4.500 euro per chi ha più di 45 anni.

Un'altra novità della riforma è il forte ridimensionamento del peso specifico della contrattazione nazionale a favore di quella aziendale. Indipendentemente dall'intesa collettiva nazionale, imprenditori e sindacati possono concordare un contratto che meglio si adatta alle esigenze dell'impresa. Se per due trimestri consecutivi un'azienda registra una diminuzione delle vendite, può «disdettare» il contratto nazionale.

Per determinare una crisi aziendale, ora sono sufficienti tre trimestri negativi consecutivi per procedere a licenziamenti per cause aziendali. Prima erano i Tribunali a stabilire se esistevano o meno i presupposti per i licenziamenti. Lo stesso principio viene esteso anche alle aziende del parastato.

Prima della riforma, se un Tribunale riteneva che un lavoratore a tempo indeterminato era stato licenziato ingiustamente, l'imprenditore poteva riassumerlo (pagando le retribuzioni maturate nel frattempo), oppure liquidarlo con un'indennità pari a 45 giorni di salario per ogni anno di servizio; e con un tetto massimo di 42 mensilità. Se il lavoratore in questione era a tempo determinato, l'indennità era calcolata in base a 33 giorni di salario per ogni anno di servizio, con un massimo di 24 mensilità.

La riforma unifica i trattamenti in 33 giorni di salario per ogni anno di lavoro, fino ad un massimo di 24 mensilità. E un Fondo pubblico (di garanzia per i salari) interverrà a sostegno delle imprese con meno di 50 dipendenti, attraverso un'indennità legale pari a 20 giorni di salario.

Insieme alla riforma del lavoro (che, secondo alcune stime, sta producendo un aumento di 25mila nuovi posti di lavoro al mese), il governo guidato da Mariano Rajoy ha introdotto tagli incisivi alla spesa pubblica.

Ha eliminato la «tredicesima» a dipendenti pubblici e parlamentari, ha ridotto i costi della politica del 20%, ha sforbiciato di 16 miliardi di euro i trasferimenti alle Regione autonome. Il deficit spagnolo resta intorno al 6%. In compenso, anche Madrid sta rivedendo i dati della crescita. Ma in aumento.

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