Una folle giornata di accuse incrociate. E la fiducia passa senza l'appoggio di Fi, Lega e M5s

In principio furono sorrisi, pacche sulle spalle e facce distese. Il cielo su Roma era terso e non c'erano nuvole che lasciassero presagire il temporale che si sarebbe abbattuto di lì a poco

Una folle giornata di accuse incrociate. E la fiducia passa senza l'appoggio di Fi, Lega e M5s

In principio furono sorrisi, pacche sulle spalle e facce distese. Il cielo su Roma era terso e non c'erano nuvole che lasciassero presagire il temporale che si sarebbe abbattuto di lì a poco. Una perturbazione di tale violenza non era stata prevista da nessun meteorologo. E, invece, il 20 luglio 2022 passerà direttamente dalle cronache politiche alla storia, per essere catalogata come una delle giornate più folli e caotiche dell'epopea repubblicana.

Mario Draghi arriva al Senato tronfio e sorridente, non sa ancora quello che lo sta per attendere tra le tappezzerie e i legni di palazzo Madama. Intanto Matteo Salvini incassa pacche sulle spalle e attestati di responsabilità dai suoi. Tra i Dem serpeggia la convinzione di aver salvato la baracca e pure il premier. Al quale il ministro Guerini riesce a strappare un sorriso e verso il quale i fotografi del Senato immortalano uno sguardo quasi amoroso del titolare della Farnesina Di Maio, che diventa subito un viralissimo meme che impazza sui social. Il discorso del presidente del Consiglio inizia con un fischio, un sibilo, a posteriori oscuro simbolo dell'inizio delle prime nubi. Non è un senatore che rumoreggia, ma un problema tecnico. Draghi poi inizia il suo discorso, ma si interrompe quasi subito un altro segnale perché il microfono presidenziale non funziona. «Credo che ci sia qualcosa che non funzioni», chiosa il capo del governo scatenando le risate degli astanti. Scoprirà presto però che quel qualcosa che non funziona è la fiducia e le risate si tramuteranno in silenzio, volti tesi e bocche cucite. Come un coach di football sprona i propri giocatori nello spogliatoio, Draghi veste i panni del motivatore e rivolgendosi ai partiti per quattro volte ripete: «Siete pronti?», «Siete pronti?», «Siete pronti?», «Siete pronti?». Il suo monologo ottiene solo due volte una standing ovation quasi bipartisan. La più forte quando tocca le corde del patriottismo: «Sono orgoglioso di essere italiano». I Cinquestelle rimangono a braccia conserte, spettatori della slavina che hanno provocato la settimana scorsa e della quale solo ieri sono stati evidenti a tutti i danni. Si alzeranno per giunta in ritardo quando Draghi ricorderà Borsellino seconda standing ovation.

La Lega, intanto, inizia a dare segni di insofferenza e nel Carroccio si apre qualche crepa. Sull'Ucraina Salvini applaude, i suoi invece no. Giuseppe Conte, principale artefice della crisi che sta andando in onda in diretta televisiva, segue la sua opera in tv da una stanza del gruppo parlamentare del Movimento Cinque Stelle al Senato. Poi inizia il valzer delle riunioni, la girandola di telefonate, i messaggi in codice e quelli su Whatsapp, gli incontri nei corridoi o alla buvette. Iniziano a sentirsi i tuoni in lontananza, il rovescio sta per scaraventarsi sull'esecutivo. Salvini riunisce i suoi, poi si reca a Villa Grande per un summit con Berlusconi. La Meloni tuona: «Draghi vuole pieni poteri. La volontà popolare si esprime solo col voto». Alle 13:53 inizia il temporale e coincide con la dichiarazione del leghista Romeo che gela il Senato: «Nuova maggioranza senza i Cinque Stelle». Draghi lascia l'Aula e va a incontrare i ministri di Partito Democratico e Forza Italia. Tra i senatori, anche quelli azzurri, si palesano dubbi e incredulità. Poi la nota del centrodestra di governo che conferma la linea. Sono momenti di fibrillazione. I più attenti alle mise notano la cravatta nera e funerea di Toninelli. «Perché non è un funerale questo?», sghignazza il grillino, dimenticando forse che il movimento di cui fa parte non è che goda proprio di ottima salute e che, soprattutto, sono proprio i pentastellati i killer che hanno reso possibile queste pubbliche esequie. Intanto i contatti si fanno febbrili, è un via vai continuo nei palazzi del potere.

Il presidente della Repubblica sente Salvini e poi Berlusconi al telefono. Il Cavaliere parla anche con Draghi.

Lo strappo è certificato col voto alla risoluzione Casini. Lega e Fi si astengono. Lo fanno anche i grillini, ultima assurda anomalia: da loro ci si sarebbe aspettati un voto contrario. Invece non hanno avuto neppure il coraggio di intestarsi la crisi che hanno aperto.

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