L'Italia è del popolo, non della borghesia

Il popolo italiano dimostra di essere all'altezza dell'eccezionale momento storico

L'Italia è del popolo, non della borghesia

A titolo di pregiudiziale, sia pure teorica, esiste in Italia una borghesia, che abbia i requisiti economici, storici, morali e la coscienza dei suoi interessi e della sua missione? C'è in Italia una «borghesia» nel senso marxista della parola? Basta possedere dei mezzi di produzione o di scambio, per acquisire l'onore e l'onere di essere catalogati fra la borghesia? O non ci vuole qualche cosa in più?

Io credo dopo tutto che la discussione sia accademica. La critica economica più recente ha fatto giustizia dell'internazionalismo della borghesia, come l'attuale tragica esperienza ha demolito il fragile castello dell'internazionalismo proletario.

Ogni Nazione ha la sua borghesia. Il concetto di «borghesia» - come quelli, ad esempio, di razza, umanità ecc. - non è rigido, fisso, riconoscibile, identificabile in ogni tempo e in ogni luogo. Non è una verità geometrica, ma una verità ambientale.

Quando io dico triangolo, la mia mente individua subito un poligono che ha tre lati e tre angoli e non può avere che tre lati e tre angoli, ma quando dico «borghesia» io esprimo un concetto elastico, che può avere un «dato» fondamentale, ma caratteri differenziali da tipo a tipo e, qualche volta, antitetici l'uno coll'altro. Pretendere, dunque, di scindere l'umanità in due classi «geometriche» può essere utile ai fini della dottrina astratta, ma la realtà è diversa. Nella realtà varia, multiforme, dinamica, il «tipo» non esiste: tutto è sfumatura e «approssimazione». È solo ragionando per «approssimazione» che si può dividere la società italiana in: popolo e borghesia. Ci sono - per usare una terminologia un po' démodé - i ricchi e i poveri. Quelli che hanno dei «beni» (terreni, fabbriche, case, miniere, bastimenti, coupon, ecc.), e quelli che vivono quotidianamente del loro lavoro e non posseggono nulla. Affibbiamo, ai primi, per semplificare il ragionamento, il titolo «globale» di «borghesia»; comprendiamo gli ultimi nella parola bella e grande di popolo. I confronti sono odiosi, ma, come molte altre faccende odiose, necessari.

Ora, la verità, detta senza eufemismi, è questa: mentre il popolo italiano dimostra di essere all'altezza dell'eccezionale momento storico, la borghesia - salvo qualche lodevole eccezione - dimostra nel suo complesso di essere inferiore alla situazione. Noi, dinnanzi al fatto della guerra, abbiamo messo al secondo piano le nostre particolari ideologie politiche per ricordarci di essere italiani e per agire soltanto nella nostra qualità fondamentale di italiani; i «borghesi» antepongono, troppo spesso, la loro qualità di borghesi alla loro qualità di italiani. Esiste una «unione sacra» di popolo, ma la borghesia italiana si estrania volontariamente da questa unione. Il popolo dà tutto, la borghesia dà poco o nulla. Il popolo è generoso, la borghesia è tirchia. Lo spettacolo offerto dalle masse popolari italiane è stato ed è ancora semplicemente meraviglioso.

Alle migliaia di umili figli del popolo che si sono rovesciati alle frontiere orientali per offrire il loro sangue all'Italia, dovevano fare degno riscontro le folle dei ricchi che avrebbero dovuto rovesciarsi agli sportelli delle Banche per sottoscrivere - a condizioni, dopo tutto, di favore - il Prestito Nazionale. Ma la borghesia nostrana non fa del patriottismo nemmeno quando sia premiato, coll'interesse abbastanza remunerativo del 4,50 per cento: il contrabbando che continua ancora e al quale si prestano fior fiore di avvocati, di ingegneri e - naturalmente! - di commendatori, dava e dà molto di più. Anche in materia di denaro, è il popolo che dà la lezione e l'esempio alla borghesia pavida e spilorcia. Sembra inverosimile, ma, diceva Casanova, riferendosi ad altra materia, nulla di più vero dell'inverosimile! Agli sportelli va la povera gente: sono i facchini di Savona che investono trentamila lire della loro cassa, nel prestito nazionale; sono i ferrovieri che chiedono - per lo stesso scopo - di poter stornare partite dei loro stipendi; e l'esemplificazione potrebbe continuare attraverso la minuta cronaca delle cento città. La borghesia invece nicchia ed ha bisogno di un pungolo morale, sotto la forma della... dilazione nella chiusura del prestito. Anche le sottoscrizioni nelle diverse città d'Italia sono altrettanti indici segnalatori di questa insufficienza e deficienza politica della borghesia.

Eccettuata Milano, che segna i milioni, nelle altre città la sottoscrizione agonizza nelle migliaia di lire. Bologna, ad esempio, città ricca, non è ancora alle 400mila lire; Cremona, facoltosa, non è alle 50mila; né meno irrisoria è la cifra raccolta a Ferrara e Padova, città dove i milionari abbondano. Farò, un altro giorno, delle considerazioni più diffuse sulle contribuzioni date dalle città d'Italia. Ma la realtà che può essere già denunciata è questa: le classi abbienti italiane non offrono alla Patria nemmeno il denaro...

E dopo questa constatazione, io aggiungo, che il fenomeno, se non mi sorprende, certamente non mi addolora. Il Governo può, quando voglia, ricorrere ai mezzi energici per trovare il denaro necessario alla guerra, per cui, l'avarizia esosa dei nostri borghesi, non potrà influire menomamente sull'indirizzo e sui risultati della guerra. Ma se la taccagneria borghese rivelasse il proposito sinistro di «sabotare» la guerra, riducendola a una guerra di semplice occupazione territoriale, noi vigileremo perché il piano sia sventato e la prima guerra d'Italia assuma veramente quell'amplitudine morale e materiale che noi abbiamo vagheggiato e voluto. Comunque, quel miscuglio eterogeneo di ceti al quale noi abbiamo dato il nome riassuntivo di «borghesia», si avvia al suicidio. Quei signori non han voluto la guerra: questa guerra non è la «loro» guerra. È la nostra. Ora che la guerra è scoppiata, il popolo dà - con entusiasmo - tutto il suo sangue e tutto il suo denaro; quei signori danno pochissimo sangue e ancora meno denaro. La «borghesia» italiana si esilia dalla Patria nell'ora suprema. Benissimo. È aperta sin da oggi la successione.

La Patria di domani, l'Italia di domani, apparterrà di diritto e di fatto, a coloro e soltanto a coloro che hanno offerto alla guerra il denaro ed il sangue.

Gli altri - quei signori - saranno violentemente cacciati via dalle loro posizioni «economiche» e politiche.

Come l'oggi, anche il domani dell'Italia, sarà del popolo. Gli assenti hanno torto, oggi, ma avranno ancora più torto domani.

12 luglio 1915

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