L'avvenimento è di ieri e già esso appare come trascolorato nei cieli della leggenda. Gli è che il tempo della vita è oggi straordinariamente affrettato e i fatti grandi e piccoli non appena accaduti sembrano precipitare in un gorgo profondo. Chi si ricorda più in Italia dell'abbandono di Valona? Eppure fu una cosa dolorosissima straziante. Questione per taluni di ore: per altri di giorni. Oggi nessuno ci pensa più. La ferita è rimarginata. Addio Valona! E il grido echeggia come l'eco di un avvenimento remoto.
Giunta al suo quinto atto - e dobbiamo riconoscere che non è stato completamente di «stile» come i precedenti poiché varie e contrastanti necessità e passioni e deficienze ne hanno turbato irreparabilmente la linea di sviluppo e tutto ciò è stato in gran parte indipendente dalla volontà dei singoli protagonisti - giunta al suo quinto atto la tragedia fiumana che va dal settembre del 1919 al gennaio del 1921 perde le sue stigmate precise la materialità che l'accompagnava le inevitabili scorie il tritume della cronaca per diventare passione sacra e pura bellezza e incancellabile storia!
Oggi è lo spirito che spezza le catene della contingenza. Che cosa vale e che può importare se domani scenderanno a Fiume i nemici della prima e dell'ultima ora i subdoli e i violenti; quelli che hanno diffamato la causa con le parole e gli altri che hanno tentato di assassinarla coi cannoni e sciorineranno al sole i piccoli insignificanti miserabili dettagli del lungo periodo di occupazione dannunziana e tenteranno di diminuire con la diffamazione la grandezza dell'impresa vittoriosa?
Già si scorgono gli inizi di questo sordido lavoro al quale si dedicheranno particolarmente con zelo i compagni di Misiano e i compari di Giolitti. Inutilmente.
Forse che i legionari di Garibaldi erano tutti farina da fare ostie? E nella sequela delle meravigliose gesta garibaldine non è forse mai accaduto di vedere insieme l'infinitamente grande e l'infinitamente piccolo; l'idealista e l'avventuriero l'estremista e il moderatore? E dissidi e polemiche e abbandoni? Non sempre è concessa all'artefice che lavora nella storia la possibilità di scegliere accuratamente i suoi materiali. Li prende - spesso - come li trova come sono come gli si offrono: e qui comincia la sua dura fatica di coordinazione di selezione di preparazione; qui - e la parola non è grossa - comincia il martirio.
Ora noi evocando la Legione di Ronchi non ci attardiamo a sofisticare o spulciare i quindici mesi di occupazione fiumana. Prescindiamo da tutta questa cronaca. Qualunque cosa si dica si scriva o si faccia. Anche se la cronaca fiumana fosse tutta «nera» e non lo è perché è invece fulgida di resistenza di eroismi e di passione l'impresa che ebbe nome da Ronchi - e anima da Gabriele d'Annunzio - rimane intatta nella sua grandezza.
La Legione di Ronchi che oggi va dispersa in ogni angolo d'Italia obbedì partendo nella lontana notte settembrina dalle sponde del fiume rosso a questi principi: libertà e giustizia. Fu un'impresa di libertà poiché Fiume stava per essere schiacciata dalla polizia inglese e per essere consegnata all'orda croata; fu un'impresa di sovrana giustizia perché evitò l'esecuzione preordinata di un enorme delitto. E fu - anche - un gesto di volontà; una sfida superba al mondo; la prova che accanto all'Italia ufficiale già compromessa nei più obliqui patteggiamenti un'altra Italia esisteva un'Italia guerriera che non intendeva lasciarsi aggiogare al carro delle plutocrazie trionfanti. Per ben quindici mesi l'attenzione del vasto mondo fu inchiodata sulla piccola città ribelle e indomabile!
Già si scorgono gli inizi di questo sordido lavoro al quale si dedicheranno particolarmente con zelo i compagni di Misiano e i compari di Giolitti. Inutilmente.
5 gennaio 1921
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