Il gip tiene in carcere Bossetti: «È pericoloso»

Il gip tiene in carcere Bossetti: «È pericoloso»

Il primo tentativo è fallito. Massimo Giuseppe Bossetti, resta in carcere. Almeno per ora. Il gip Ezia Maccora, la stessa che lo scorso giugno aveva firmato per l'arresto, ieri- con inusuale anticipo rispetto ai cinque giorni di tempo previsti dalla legge - ha infatti rigettato l`istanza di scarcerazione presentata dagli avvocati del carpentiere di Mapello. L'uomo si trova da tre mesi in isolamento nel carcere di Gleno, a Bergamo, con la pesante accusa di aver assassinato Yara Gambirasio.

Secondo il gip, cui la difesa del muratore aveva sottoposto quaranta pagine di «controdeduzioni» relative all'inchiesta della procura, contro il quarantaquattrenne «sussistono gravi indizi di colpevolezza», ma soprattutto ci sarebbe «il pericolo di reiterazione del reato». Silvia Gazzetti e Claudio Salvagni, i due legali dell'accusato, mercoledì scorso 10 settembre avevano esposto una prima istanza di scarcerazione, che era stata dichiarata inammissibile dal gip in quanto, come da procedura, non era stata presentata anche ai legali della parte offesa. Gli avvocati l'avevano così ripresentata, correttamente, due giorni dopo. Al giudice è davvero bastato poco per scartarla.

Di dubbi, su quest'inchiesta infinita, costellata di errori, piste contraddittorie e repentini colpi di scena tanto clamorosi da sembrare incredibili, del resto ne rimangono parecchi. A cominciare dal movente che avrebbe spinto l'assassino (o i presunti due come, fino a non molto tempo fa ipotizzavano gli investigatori) a scegliere Yara come vittima, per arrivare alle modalità con cui si è arrivati all'individuazione di Bossetti. Incastrato da una traccia di Dna, secondo gli esperti il suo senza ombra di dubbio, trovato sui leggins della tredicenne di Brembate.

Quel che ora sorprende, nelle motivazioni del gip Maccora, è la convinzione del pericolo che l'indagato possa tornare a uccidere (ammesso sia davvero lui l'assassino) qualora venisse liberato. O anche solo posto agli arresti domiciliari. Il muratore di Mapello avrebbe avuto oltre tre anni di tempo per farlo. O anche solo per provarci. Da quel che si sa, al contrario, fino al giorno dell'arresto, il 16 giugno, avrebbe sempre condotto una vita più che regolare. Persino monotona nella sue ritmiche cadenze. Lavoro, casa, moglie e figli. Se poi farsi qualche lampada venga considerato reato o indice di pericolosità sociale, allora il discorso cambierebbe.

Il muratore di Mapello, che solo una volta in cella avrebbe scoperto di essere figlio non dell'uomo che lo ha cresciuto, ma di una relazione extraconiugale della madre, non ha mai smesso di proclamarsi innocente. Dimagrito, provato, al limite del cedimento ora potrà sperare solo nel Tribunale della Libertà.

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