Giustizia sempre più lumaca per Covid. Così Bonafede ha ingolfato i tribunali

L'ex ministro ha delegato ai presidenti. E con gli arretrati è caos

Giustizia sempre più lumaca per Covid. Così Bonafede ha ingolfato i tribunali

Un po' fuori dal lockdown, un po' no. L'Italia gira la chiavetta nel motore, ma la giustizia ha ancora inserito il tasto emergenza. Si va avanti a velocità ridotta e in ordine sparso fino al 31 luglio. Poi arriverà l'estate col suo mantello sonnacchioso e la sospensione dei termini feriali, dunque la normalità è segnata sul calendario di settembre.

«Abbiamo realizzato gli ospedali da campo - spiega l'avvocato Gian Ettore Gassani, presidente dell'Associazione matrimonialisti italiani - avremmo dovuto investire nei tribunali da campo, puntando su palestre, palazzetti e qualunque altra struttura, invece siamo rimasti al palo per mesi».

È stato il ministro Alfonso Bonafede a dettare il metronomo della crisi con un provvedimento ad hoc che di fatto ha consegnato il bastone del comando ai presidenti di tribunale. C'è chi si è organizzato e chi ha subito le difficoltà di una stagione così difficile. «A Roma nel penale - sintetizza Valerio de Gioia, giudice nella capitale - abbiamo rinviato poco, il meno possibile, altrove so che le cose sono andate meno bene. A macchia di leopardo, con differenze importanti fra penale e civile, fra le metropoli e la provincia, fra il Nord e il Sud. Io credo - aggiunge de Gioia - che il ministro avrebbe dovuto dare direttive più mirate, senza delegare così tanto, consegnando di fatto udienze e processi alla sensibilità e alla capacità manageriale dei capi degli uffici».

Nel civile si può lavorare meglio anche a distanza e anche con l'aiuto di testi scritti, insomma il dibattimento telematico ha aiutato a dribblare il Covid. Dalle parti del diritto di famiglia, che è un mondo a parte, i guasti sono arrivati in profondità e gli arretrati hanno gonfiato cassetti e armadi già stracarichi di pratiche urgenti come lo sono i sentimenti e le aspettative di uomini e donne. «Nel silenzio del lockdown - prosegue Gassani - centinaia di separazioni sono rimaste congelate per mesi. E questo ha portato a situazioni difficilissime: provi a immaginare marito e moglie ormai ai ferri corti, con uno dei due convinto di andarsene nel giro di pochi giorni e invece costretto a rimanere sotto lo stesso tetto magari per sei o sette mesi, perché il giudice aveva rinviato la trattazione del caso da marzo a novembre. Fra l'altro, la fase iniziale della separazione è quella in cui il partner femminile è più a rischio ed è esposto alle violenze, al rancore, alle ritorsioni. I giudici, stretti nella tenaglia del Covid, hanno fatto quel che potevano». Non solo: a problema si aggiunge problema. «In alcuni casi - conclude Gassani - i magistrati hanno impedito ai padri di raggiungere i figli residenti in altre città, mettendo l'epidemia davanti agli affetti e andando contro le disposizioni del governo».

Insomma, è successo un po' di tutto e la normalità, che già era un lusso con un apparato così fragile, sarà dura da riconquistare. Ma non tutto tornerà come prima.

«Noi avvocati abbiamo imparato a dialogare da remoto con le cancellerie - afferma Vinicio Nardo, presidente dell'ordine degli avvocati di Milano - e penso che nessuno abbia voglia di rimettersi a fare la fila. Altra cosa è l'udienza: non puoi interrogare o condannate un imputato senza guardarlo negli occhi». L'ergastolo via Skype può attendere.

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