Grana Taiwan per Trump: telefonata fa infuriare Pechino

Dieci minuti con la presidente indipendentista Tsai La Cina protesta. Ma Obama rassicura: nessuna svolta

Grana Taiwan per Trump: telefonata fa infuriare Pechino

Se c'è un modo sicuro per far infuriare la dirigenza comunista di Pechino è menzionare l'indipendenza di Taiwan. L'isola nazionalista cinese, ultimo ma battagliero avanzo di quella che fu la Repubblica fondata dopo la caduta dell'impero millenario nel 1911, è indipendente di fatto fin dal 1949, ma nessuno può dirlo. Questo allo scopo di mantenere in vita uno status quo fra i più complicati (e ipocriti) del mondo, che dal 1979 - anno in cui gli Usa riconobbero il regime maoista e interruppero per Realpolitik le relazioni diplomatiche con la storica alleata Taipei - nega l'ufficialità dell'indipendenza di Taiwan ma ne accetta di fatto l'esistenza. Permettendo così il capolavoro di consentire al regime comunista di proclamare che esiste una Cina sola (la loro, di cui Taiwan altro non sarebbe che una provincia ribelle) e agli Stati Uniti di mantenere fruttuose relazioni ufficiali con Pechino garantendo al tempo stesso sottobanco la sopravvivenza taiwanese con congrue vendite di armamenti.

Ora, non è chiaro se Donald Trump fosse al corrente di tutte queste sottigliezze quando ieri ha alzato la cornetta per rispondere alla telefonata della presidente taiwanese Tsai Ing-wen. È ragionevole dubitarne, visto il lacunoso background di politica internazionale del presidente eletto, ma non è detto. Sta di fatto che dieci minuti di conversazione incentrati secondo lo staff trumpiano «sugli stretti legami economici, politici e di sicurezza» fra i due Paesi sono bastati e avanzati al ministero degli Esteri di Pechino per reagire con una rabbiosa nota di protesta all'indirizzo della Casa Bianca, in cui la telefonata viene bollata come «una piccola bravata» della signora Tsai. La quale - a differenza forse dell'irruento Trump - non poteva non sapere quali sono le regole del sottile gioco a tre. Il ministro Wang Yi ha ricordato a Washington che il principio dell'esistenza di un'unica Cina rimane imprescindibile e Barack Obama ha presto reagito confermandolo: «La politica americana verso la Cina non cambia», ha detto il presidente uscente.

La chiacchierata fuori protocollo di Trump con la signora Tsai non è che l'ultimo capitolo di una sua relazione con Pechino che non nasce sotto i migliori auspici. In campagna elettorale aveva ripetuto infinite volte che la Cina era un nemico del popolo americano, la causa vera dell'impoverimento di milioni di persone rimaste vittime delle sue politiche economiche basate sulla concorrenza sleale. Una volta vinte le elezioni per la Casa Bianca, il preoccupato presidente cinese Xi Jinping aveva preso il telefono (anche lui...) e lo aveva lungamente intrattenuto sull'opportunità di costruire relazioni stabili e amichevoli col suo Paese: la conversazione si era conclusa con la promessa di «reciproco rispetto». Adesso arriva la grana taiwanese, e c'è chi dice che al suo scatenarsi non siano estranei alcuni consiglieri di Trump amici di Taiwan, primo fra tutti quel Reince Priebus già scelto come capo dello staff della Casa Bianca. Un anno fa Priebus, presidente del Comitato nazionale repubblicano, era volato a Taipei per incontrare la futura presidente Tsai, esponente di un partito che «flirta» con l'idea dell'indipendenza.

Non a caso fonti ufficiali taiwanesi sottolineano che la controversa telefonata fosse stata «ben organizzata da membri dello staff della campagna che sono amici di Taiwan». E comunque la scelta di Trump ha suscitato reazioni entusiastiche da parte di esponenti dell'ala conservatrice del Grand Old Party al Congresso, come il presidente della sottocommissione Asia alla Camera, Matt Salmon, che vede nella conversazione con Tsai Ing-wen «un forte messaggio politico».

Non va infine dimenticato che Trump ha nominato ministro dei Trasporti Elaine Chao, che di Taiwan è originaria. Forse a chi ha visto in quella chiacchierata fuori dalle regole una semplice conferma dell'incompetenza del miliardario newyorkese è sfuggito qualcosa.

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