
Quando, il 2 agosto 2007, Artur Nikolaevi Cilingarov diventò il primo uomo nella storia a toccare il fondo marino in corrispondenza del Polo Nord, in pochi capirono il significato del gesto. Eppure tutto era molto chiaro. Anche perché un braccio meccanico montato sul batiscafo di Cilingarov piantò sul fondo marino una bandiera in titanio col tricolore russo.
Quell'atto confermava i contenuti del ricorso all'Onu in cui Mosca sosteneva che il Polo è in gran parte terra russa in quanto collegato alla «madre patria» attraverso la dorsale sottomarina Lomonosov. Con quell'atto Mosca rivendicava anche l'accesso all'80 per cento delle riserve di gas e petrolio esistenti sotto i fondali polari. Questa premessa è essenziale per comprendere perché ieri - nonostante le aperture di Donald Trump alla Russia - Vladimir Putin abbia sparato a zero contro le mire di The Donald sulla Groenlandia. «Tutti sono ben consapevoli dei piani degli Stati Uniti per annettere la Groenlandia», ha detto il presidente russo nel corso di un intervento sull'Artico tenuto ieri a Murmansk. «È profondamente sbagliato credere - ha continuato - che si tratti di una sorta di discorso stravagante della nuova amministrazione americana. Riguardo alla Groenlandia stiamo parlando di piani seri».
Per capire quanto il problema sia strategicamente e geopoliticamente concreto bisogna guardare alla posta in gioco. Nel 2012 l'Accademia delle Scienze di Mosca ha quantificato in 30 trilioni di dollari il valore delle ricchezze minerarie e geo-strategiche nascoste nell'Artico russo. Un calcolo che include anche le ricadute economiche derivanti dallo sviluppo della cosiddetta Northern Sea Route, la Rotta Marina del Nord. Quest'ultima è il vero punto di svolta a cui guarda il Cremlino per conquistare una nuova egemonia commerciale. L'apertura di quella via marittima - garantita dal progressivo disgelo - promette di accorciare di circa 4mila miglia nautiche la rotta tra Rotterdam e il porto giapponese di Yokohama in Giappone.
Un vantaggio che garantirà a Mosca un'autentico controllo dei commerci. Le implicazioni strategiche di tutto ciò sono evidenti. E fanno capire perché Groenlandia e Polo Nord stiano per diventare il nuovo fronte su cui Stati Uniti, Russia, e non ultima la Cina, si contenderanno l'egemonia globale. Su questo Trump è il primo a non ricorrere a giri di parole. «Abbiamo bisogno della Groenlandia per la sicurezza internazionale. Dobbiamo averla», ha dichiarato al podcaster Vince Coglianese. «Odio dirlo in questo modo, ma dobbiamo averla», ha poi insistito.
Anche per questo Putin ha ritenuto indispensabile far sentire la propria voce. Nel farlo ha prestato molta attenzione a omettere il nome di Trump, indispensabile quasi-alleato sul fronte dell'Ucraina, per puntare invece il dito contro la Nato. «I Paesi della Nato stanno sempre più considerando l'Artico come una base per un conflitto e i nuovi membri, Finlandia e Svezia, hanno un ruolo attivo», ha detto il presidente russo.
Che ha poi aggiunto: «La Russia non ha mai minacciato nessuno nell'Artico, ma proteggerà in modo affidabile la propria sovranità». Ma Nato o America che si dica la sostanza non cambia. La nuova vera «guerra fredda» si giocherà tra i ghiacci del Polo.
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