È guerra Israele-Iran in Siria Raid dopo i razzi di Teheran

Missili sul Golan e Netanyahu risponde con la più pesante operazione da decenni: «Linea rossa superata»

È guerra Israele-Iran in Siria Raid dopo i razzi di Teheran

K assem Suleimani, il mitologico generale delle Forze Quds che guida l'espansione imperialistica dell'Iran e la sua acquisizione di missili balistici circondato da fama e da paura, in queste ore probabilmente si pone domande molto difficili sul seguito della breve guerra del Golan. Per la prima volta nella storia, con tracotanza estrema, dalla Siria la Guardia Rivoluzionaria ha firmato un attacco di razzi contro l'odiata Israele. Suleimani aveva promesso una vendetta per l'attacco alla base militare T da cui l'Iran aveva lanciato su Israele un sofisticato drone armato ricevendone una risposta che aveva distrutto la base e ucciso sette dei suoi uomini. E l'ha fatto, e forse non per caso, il giorno dopo la cancellazione del patto sul nucleare da parte di Trump, che sta anche per riconoscere Gerusalemme come capitale di Israele. Una guasconata a più dimensioni, che però non ha funzionato: l'Iran adirato, odiatore, che ha minacciato una furiosa risposta a Trump e la solita distruzione di Israele, spara 20 razzi russi, di cui 16 non riescono a passare il confine e a entrare in Israele, mentre lo scudo di difesa ne blocca tre nel cielo. La risposta di Israele arriva poco dopo, la mezzanotte ed è la «maggiore operazione aerea degli ultimi anni», dice il portavoce militare israeliano Jonathan Conricus.

Benjamin Netanyahu è atterrato da mezz'ora di ritorno da una giornata storica a Mosca in compagnia di Putin che gli ha fatto grande onore, come a dire a Trump: non credere di essere l'unico a possedere una leva su Israele. Inno israeliano accanto a quello russo, memorie dell'eroica resistenza russa di fronte al nazifascismo e anche, in particolare, degli ebrei che hanno servito nell'esercito sovietico. Per tre ore, poi, i due leader hanno discusso da soli della situazione in Siria, e se l'immaginazione può esprimersi liberamente, Netanyahu deve aver ripetuto la sua non ingerenza nella presenza russa da quelle parti, ma la totale determinazione a impedire che l'Iran vi stanzi le sue forze militari in Siria e la preoccupazione che dalla Russia possano pervenire armi decisive per Assad, legato all'Iran e agli Hezbollah. Non è dato sapere se Netanyahu gli ha annunciato l'intenzione di muoversi militarmente al bisogno ma possiamo pensare che, se non ha ricevuto una luce verde, non ne ha ricevuta peraltro neppure una rossa.

Appena il primo ministro è tornato e il Gabinetto si è riunito, è stato dato il via a un'operazione che come ha detto il ministro della Difesa Liberman, dimostra che «se da noi c'è la pioggia, da loro c'è l'alluvione». Per Netanyahu «l'Iran ha oltrepassato una linea rossa. Non permetteremo a Teheran di acquartierarsi in Siria».

Ventotto fra F15 e F16 hanno colpito intorno ai sessanta obiettivi, disegnando una mappa quasi completa delle basi militari iraniane. Non si sa il numero di morti, ma si sa che fra loro c'è qualche iraniano. Un colpo cui gli ayatollah dovranno pensare bene prima di dar seguito ai loro attacchi a Israele, perché ha dimostrato che i servizi di Israele hanno una conoscenza particolareggiata di tutte le postazioni in Siria, e che da tempo hanno preparato delle azioni definitive.

Certamente la «vendetta» iraniana non porterà al regime lustro e onore. Per quanto si possa adornarla, la verità affiora nei social media e nelle radio e tv clandestine. Il regime versa in una situazione di debolezza, contestato dalla popolazione oppressa e impoverita, condita dalla delusione di essere affondati dopo tanto tempo passato, con la gestione Obama, sulla cresta dell'onda.

Gli iraniani non seppelliranno tuttavia il loro odio per Israele, e ci si può aspettare che ci sia un seguito all'attacco di ieri. L'Iran non intende farsi scalzare dalla Siria, la sua migliore piattaforma di espansione mediorientale: ma dovrà pensare nuove strategie. Privi di qualsiasi remora morale, come dimostrano gli spaventosi attacchi ai centri ebraici di Buenos Aires che nel '92 e nel '94 fecero centinaia di morti e feriti, è facile immaginare che tenteranno a terra, non in aria, col terrorismo dentro i confini. Israele sta prendendo le sue precauzioni.

In generale, lo stato d'animo qui è alto, nonostante le alture del Golan dove si vive del turismo delle famiglie che nel weekend affittano le camere di montagna bed and breakfast ora soffrano parecchie cancellazioni. Gli albergatori seguitano a invitare la gente a andare in vacanza perché «noi siamo qui, tutto è tranquillo, e siamo qui per restare». I rifugi sono stati sistemati, i soldati di alcune unità di riserve sono stati mobilitati, si racconta che gli adorati piloti di F15 e 16 fossero già tutti richiamati e pronti da alcuni giorni. Il senso di giustizia vince ora che il mondo intero deve riconoscere che quell'accordo che di fatto consentiva all'Iran di proseguire nella strategia balistica e dell'arricchimento atomico sotto la copertura di un'intesa, è fallito.

Perché anche se l'Europa difende gli interessi dei suoi investitori con scarso senso del futuro dei suoi figli, ci sono cose più importanti da difendere, per esempio la vita del proprio Paese. Qui lo si fa con modestia ma molta determinazione, e per ora gli Usa e l'Europa e persino il mondo arabo riconoscono che Israele ha diritto a difendersi. È una novità.

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