«Ho realizzato il sogno di una vita E parla al plurale»

Un impero finanziario, il suo borgo e un libro: «Ma da solo non avrei fatto nulla»

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Nel 1978 il governo cinese proibisce la lettura delle opere di Aristotele, Shakespeare e Dickens; Augusto Pinochet annuncia che in Cile non ci saranno più elezioni fino al 1986 mentre le Brigate Rosse rapiscono e uccidono Aldo Moro dopo l'agguato di via Fani in cui vengono trucidati i cinque componenti della scorta. Brunello Cucinelli lancia un'opa sull'anima fondando una piccola impresa sull'idea di colorare il cashmere e sull'ideale di un lavoro che rispetta «la dignità morale ed economica dell'uomo».

Ha 25 anni, un prudente diploma di geometra in tasca e tanti sogni in testa. Il più bello di tutti si chiama Solomeo, un borgo medioevale in provincia di Perugia dove decide di andare a vivere nel 1982 dopo il matrimonio con Federica Benda. Nel giro di tre anni compra il castello diroccato e lo trasforma nella sede dell'azienda.

Comincia così una paziente opera di restauro degli antichi opifici della zona e di riqualificazione territoriale. Trasforma questa passione seconda solo a quella della lettura in un tutt'uno con la vita e con il lavoro diventando lo stilista (o imprenditore) filosofo. Cita infatti Sant'Agostino e le regole benedettine quando nel 2013 presenta la società alla Borsa di Milano. Con la quotazione diventa il 33simo uomo più ricco d'Italia secondo una stima di Forbes, ma la sua vera, grande soddisfazione è aver scritto un libro (Feltrinelli editore) per festeggiare i suoi primi quarant'anni come custode di un sogno diventato realtà.

Titolo dell'opera?

«Il sogno di Solomeo, la mia vita e l'idea del capitalismo umanistico. Mi ha fatto tribolare cinque anni perché non volevo annoiare nessuno. Mi sono imposto una regola: sei righe di ricordi e sette di riflessioni. È il libro della vita e dei sogni, una memoria pubblica».

Oltre a questo ha organizzato una festa per 500 persone provenienti da tutto il mondo...

«Abbiamo invitato 500 amabili ospiti equamente divisi tra stranieri e italiani per mostrare loro cosa abbiamo fatto a Solomeo. Non è una festa ma una visita organizzata».

Perché parla al plurale e usa parole come «amabili» ormai fuori moda?

«Parlo al plurale perché da solo non avrei fatto nulla. In azienda ci sono 1700 dipendenti diretti e 4000 nell'indotto. Siamo in tanti. Quanto alla parola se è fuori moda dovremmo rivalutarla. Adriano diceva Non c'è stata mai un'espressione amabile che non mi abbia convinto e commosso e specificava di non aver mai conosciuto nessuno che non si fosse sentito migliore dopo un complimento».

Segue questa regola nella vita e nel lavoro?

«Deve venire dall'anima. A me garbano le cose sorridenti, scherzose, mai dure. Benedetto raccomandava all'abate di essere rigoroso e dolce, esigente maestro e amabile padre».

Mica facile. Perde mai le staffe?

«Non dedico tempo all'ira».

Mai licenziato nessuno?

«No, ma con tante persone è possibile che qualcuno non rispetti le regole».

E allora lei cosa fa?

«Dipende. Se uno, chiunque sia, offende qualcuno, con me ha chiuso. Ho visto mio padre umiliato mille volte dal suo datore di lavoro e mio fratello che faceva l'idraulico preso in giro perché gli venivano gli occhi rossi quando faceva le saldature. La dignità serve da fondamento e base del lavoro». Diventare molto ricco le ha cambiato la vita?

«Mi ha dato la possibilità di realizzare cose altrimenti impensabili.

Penso al monumento alla dignità dell'uomo che è un piccolo Colosseo costruito in campagna senza cemento armato ma con blocchi di marmo agganciati internamente da perni d'acciaio oppure il teatro monumentale laico o, ancora, le cantine con 24 volte come una chiesa. Io sono pro tempore il custode di una piccola parte di umanità».

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